Nel mese di aprile, in Italia, gli appassionati delle percussioni hanno assistito al ritorno di Alejandro Neciosup Acuña, più conosciuto con il diminutivo che lui stesso si è dato di Alex. Da troppo infatti si era fatto attendere tanto che, fra gli addetti ai lavori la voce più diffusa era quella di una sua totale reticenza ai voli aerei intercontinentali. Per fortuna era un “falso”, e grazie alla sua nuova collaborazione discografica con il tastierista svizzero Lorenzo De Finti, Acuña è riuscito ancora a: “… far sorridere la musica…” (come lui spesso ama dire n.d.r.), in un tour che lo ha portato in alcune città del nostro Paese, tra cui Perugia. Proprio qui infatti, nella splendida cornice dell’antico Teatro Pavone , l’8 aprile scorso, in occasione della decima edizione di Metronome (International Music Festival), Acuña ha offerto un grande spettacolo e dell’ottima musica, ripagando le attese degli intervenuti. E sempre a Perugia, per merito di Percussionistica (World Rhythm Festival), in collaborazione con Stix (Drum Centre e Music School), nel pomeriggio dello stesso giorno, un folto numero di partecipanti, provenienti da mezza Italia, ha assistito ad un impareggiabile seminario con l’artista peruano. Acuña è un musicista che può vantare incisioni e collaborazioni con artisti come Perez Prado, Elvis Presley, Weather Report, Paul McCartney, Joni Mitchell, Ella Fitzgerald, Wayne Shorter, U2, Michael Jackson, Al Jarreau, Placido Domingo; ma la cosa più evidente in lui sono le sue spiccate qualità umane. Dalle sue parole affiora una grande spiritualità. Nel seminario ha affermato: “… io non ho una religione con Dio, ho una relazione con Dio…, scusate ma io ora non sto suonando per voi, ma per Dio, che mi ha dato la fortuna di essere qui a fare musica. San Paolo diceva che per essere più vicini a Dio bisogna pregare tutti i giorni, io aggiungo che per essere più vicini alla musica bisogna suonare tutti i giorni !”.
Acuña ha iniziato il suo workshop mostrando la tecnica base del djembe, da solo ed unito alla voce; è poi passato ai timbales con campana, ai bongos, ma particolarmente incisiva è stata la sua permanenza sulle congas (chiaramente strumenti da lui prediletti n.d.r.). E’ in questo frangente che ha fatto notare come semplicemente variando la velocità di esecuzione e mantenendo costante il ciclo ritmico, si possano ottenere da questi strumenti i più noti stili musicali latino-americani, come ad esempio Cha-Cha-Cha – Rumba – Mambo ecc. Sempre suonando la conga ha poi dimostrato un esempio di esecuzione combinata fra questa e lo snare, aggiungendo hi-hats ed infine lasciando definitivamente la conga per passare alla batteria. Ha ricordato ai batteristi di non aver mai paura di iniziare a suonare la conga, perché secondo lui l’unione fra questi due strumenti è fondamentale. Alla batteria, si è soffermato a lungo sull’importanza dell’indipendenza fra mani e piedi, ed in particolare su quella fra piede sinistro e destro. Dopo la batteria ha voluto di nuovo stupire suonando, sempre da seduto, le mani sulle ginocchia accompagnandosi con i tacchi e le punte dei piedi. E’ a questo punto che ha cercato di far capire come per un percussionista è di vitale importanza suonare in ogni momento libero della giornata, “…il tamburellare sulle ginocchia, dice Alex, lo si può fare anche quando si è seduti alla fermata dell’autobus”. “Molto importante è anche allenarsi con una mano alla volta, suonando lo stesso tempo”. Dopo alcune domande di rito, a cui ha sempre risposto in maniera cordiale ed esaustiva, ha voluto ribadire un concetto scontato ma di grande importanza e cioè quello che il ritmo non lo si apprende, ma lo si ha dentro; i suoni che uno riesce a produrre salgono da dentro ed escono fuori solo se dentro di noi ci sono. Il ritmo si “sente”. Di per se questa parola esprime un concetto semplicissimo, e non è altro che un: “uno..due…uno…due” (e con la mano batte e la solleva n.d.r.), battere e levare. “Dentro il ritmo possiamo aggiungere il sincopato e gli accenti”. L’esercizio che più di ogni altro va fatto, è quello – secondo Acuña – di concentrarsi e di sapere in ogni momento dov’è quel “uno…”, quel battere e poi, tutto il resto viene di conseguenza. Come si fa per esercitarsi in questa direzione? Molto semplice, anche quando si cammina (a meno che non siamo ubriachi) si compie un fondamentale esercizio di sincronizzazione del “uno..due..”. Dice infine di non aver mai avuto bisogno di un metronomo, e non lo consiglia neanche. Ribadisce che la melodia è una componente fondamentale per il fare musica, perché con la sola tecnica, anche se molto elevata, non si va lontano. Il seminario si è infine concluso con un riuscitissimo “fuori – programma” che ha visto insieme i ragazzi del seminario e il famoso artista, diventati per venti minuti circa non solo più amici (che è poi la vera finalità del suonare e imparare insieme) , ma anche e soprattutto più vicini al “cuore della musica”!
Alex, parlaci dei tuoi inizi da percussionista.
Ho iniziato a suonare da piccolo a 4 anni ed a 10 con l’orchestra di mio padre ed a 16 mi sono trasferito a Lima, registrando e suonando per la televisione. Mi ricordo con grande piacere di un rudimentale timbales di legno che avevo e che suonavo molto spesso. La mia fortuna venne però intorno ai 18 anni, quando Perez Prado mi portò negli Stati Uniti dove mi fermai, era il 1964. A quell’epoca non c’erano come oggi testi, spartiti, e tanto meno videocassette dove poter apprendere le lezioni dei grandi percussionisti, dunque il cammino è stato molto duro.
Da “Black Market” con i Weather Report a “Ruttle and Hum” con gli U2, al tuo nuovo progetto musicale che stai preparando a Los Angeles. Come sono cambiate le percussioni nel corso di questi anni e come è cambiato il tuo modo di fare musica?
Quello che cambia non è il modo di fare musica o di suonare le percussioni. Chi cambia siamo noi come individui, come musicisti, come padri, come mariti, come amici, come uomini… è questo che cambia. D’altronde è normale che si cambi e ci si rinnovi in continuazione. Un anno fa ho inciso un disco di latin-jazz, con un gruppo che si chiama “Tolu”. Proprio adesso (aprile 2000 n.d.r.) sta uscendo un disco di sole percussioni che ho finito di registrare con Giovanni Hidalgo, Luis Conte, Pauliño da Costa, Antony Carrillo, e altri giovani percussionisti. Esce fra due settimane, si chiama “Aguarela De Tambores”. E’ un disco molto vario, che unisce vari stili come il cubano, l’africano, il portoricano, il brasiliano. Quando torno a casa devo anche terminare il disco con Wayne Shorter e un disco jazz con la filarmonica di Los Angeles.
Ci puoi parlare ora di questo tuo nuovo tour europeo, in particolare dell’Italia, da quanto tempo mancavi?
La prima volta che venni in Italia fu nel 1976 con i Weather Report, suonammo a Roma e Milano. Poi l’ultima volta nell’81 forse 82’, non ricordo bene, con Al Jarreau. L’Italia mi è sempre piaciuta, perché è una terra latina, calda simile alla mia. Poi mi piacciono le solite cose, quelle che piacciono un po’ a tutti, gli spaghetti, il mangiare in genere, la gente e soprattutto devo dire stanno uscendo buoni musicisti con i quali mi piacerebbe collaborare.
Quali sono, secondo te, le bands che in ambito musicale potranno dire la loro, potranno fare la differenza, in questo nuovo millennio?
Non saprei in particolare eleggerne una, una sola band dico, ascolto e mi piacciono molto soprattutto i percussioni cubani della nuova generazione, o anche i batteristi. Soprattutto uno, che attualmente vive in Svizzera, che si chiama Julio Barreto, oppure un altro che vive proprio a Cuba che si chiama Raul Pineda che suona in un gruppo che si chiama Sintesis. Inoltre Nero Hernandez, Jimmy Brally e molti altri.
Nel corso degli anni hai collaborato con una miriade di artisti, legati agli stili musicali più svariati; c’è, però, un tipo di musica che avresti voluto interpretare e che non hai voluto o potuto suonare? E perché?
La musica indiana. Mi piacerebbe saperla suonare ma non ho mai avuto il tempo di approfondirla, del resto con cinque figli, più di così non potevo fare ….. (risate n.d.r.)
In questi ultimi anni in Italia stiamo assistendo ad un ritorno della musica latino-americana, anche grazie al successo del film “Buena Vista Social Club”. Cosa ne pensi?
E’ come un cerchio, la musica tradizionale ritorna. L’esempio è appunto “B.V.S.Club.” dove i musicisti suonano musica tradizionale cubana. Questo vale per tutta la musica, adesso ad esempio, non so se questo avviene anche in Italia, ma molti giovani riascoltano e riscoprono i Weather Report ed altri gruppi del passato. Penso che questo valga anche per la musica classica europea, Strawinsky, Mozart ecc. Sono musiche che hanno radici molto profonde, sono musiche che rimangono nell’anima della gente. La stessa musica Jazz è una musica che ha radici profonde, ed anche molte altre.
Per molti anni della tua vita hai vissuto a Porto Rico; ci puoi parlare della realtà musicale di quel Paese così affascinante?
A Porto Rico se non sai usare bene la clave e le timbales sei finito. Puoi chiamarti anche Alex Acuña o in un altro modo ma, se in un concerto sbagli qualcosa con la clave, ti marchiano per sempre e poi è difficile risalire e suonare ancora. Sono veramente spietati per questo.
Sappiamo che ormai da molti anni vivi negli Stati Uniti; che rapporto hai mantenuto con il tuo paese d’origine, il Perù, musicalmente parlando?
Ogni due o tre anni torno in Perù, per vedere i miei amici e per fare concerti con la mia gente. La musica peruana è molto ricca e piena di valori, è una musica importante.
Quale è l’artista peruano che ci consiglieresti di ascoltare?
Sicuramente consiglio le composizioni di Chabuca Granda.
Chi sono invece per te i migliori percussionisti attualmente in circolazione?
Apprezzo molto grandi batteristi come Vinnie Colaiuta, Dave Wakle, Steve Smith, Billy Cobham e molti altri che tutti conosciamo, però non so se sono in grado di suonare bene la conga. Questo per me è uno strumento fondamentale e un percussionista è completo quando sa unire alla batteria anche questo strumento.
Intervista di Roberto Ciocchetti e Peppe Consolmagno
Traduzione e foto di: Matteo Achilli.