Persona di indiscutibile valore umano, Luis Agudo è uno di quei musicisti schivi del business e dell’elettronica, a vantaggio della curiosità, della genuinità, della sincerità e dell’amicizia. Doti queste che lo contraddistinguono tra la selva di musicisti imprenditori, tirati a lucido da troppe lampade abbronzanti e ore di body building sul palco.
Sono già ben 15 anni che seguo con attenzione la vita dell’amico e collega Luis Agudo. Più volte ho riferito su di lui e tutte le volte è stata una buona occasione di verifica ed insegnamento. Un buon motivo per riparlarne? Il suo ritorno in Italia, dopo sette anni passati in Cile, l’uscita del suo ultimo CD _South of the World” e il ricordo di George Aghedo.
…SEI DA POCO TORNATO IN ITALIA DOPO BEN SETTE ANNI PASSATI IN CILE. COSA E’ STATA PER TE QUESTA ESPERIENZA?
Amo l’Italia e mi piace girarla in maniera turistica. Con la mia famiglia e per un contratto di mia moglie, ci siamo trasferiti a Santiago del Cile. Tutto questo tempo è stato utile per analizzare un po’ di cose. Un viaggio interiore e profondo alla ricerca delle mie radici, forse mascherate dalla mia esperienza di zingaro. Una opportunità per vedere le conseguenze di una repressione militare, soprattutto nell’ambiente artistico. L’arte di per se è libertà e la sua assenza mi ha colpito notevolmente. In Cile mi sono state chiuse tutte le porte, come se _portassi la peste”! D’altra parte la terra di Pinochet non perdona e i danni alla cultura sono irreparabili. Di queste cose ne sanno qualcosa i Maya e gli Aztechi. Dopo la scoperta dell’America, come se prima non esistesse ugualmente, l’Europeo ha seppellito questo continente eliminando i nativi e completando le opere umanitarie con il traffico degli schiavi africani. L’atmosfera coloniale si vive ancora da quelle parti in certi settori. C’è l’isolamento culturale tra i diversi Paesi, nonostante sia l’unico continente che parla in maniera preponderante lo spagnolo.
Ho approfittato durante la mia permanenza a Santiago, per girare un po’ l’America latina. In Bolivia ho scoperto la dimensione per niente facile delle maracas, ascoltando maracheros fantastici; a Cuba ho conosciuto la letteratura del famoso etnomusicologo Fernando Ortiz; in Perù ho potuto vedere il vero utilizzo dello strumento musicale chiamato cajon; in Uruguay ho ascoltato lo splendido ritmo chiamato Candombe.
… LA TUA ATTIVITA’CONCERTISTICA INVECE?
Per suonare dovevo andare negli Stati Uniti o a Buenos Aires. Sono stato invitato insieme a Norberto Minichillo a Los Angeles, per il Festival Jazz _Summer Nights at Moca” organizzato dal Museo di Arte Contemporanea. Il nostro spettacolo si chiamava Afrorera. E’ stata una bella esperienza e soprattutto siamo stati molto ben accolti dalla comunità musulmana afro-americana. Un altro bel ricordo è quello di aver suonato nel Club World Stage, sempre a Los Angeles. Aperto per iniziativa del grande Billy Higgins, questo locale serve anche come punto di incontro tra musicisti locali. Ancora più entusiasmante è stato quando lo stesso Higgins, da poco convalescente da un delicato trapianto, ha trovato il tempo per invitarci a casa sua e farci ascoltare della musica e scambiare buone parole. A New York ho suonato invece come ospite nel trio di Bobby Watson, insieme al contrabbassista Essiet Okun Essiet ed al pianista George Cables.
… LA TUA VITA ARTISTICA E’ SEGNATA DA MOMENTI PARTICOLARMENTE FELICI. UNO CREDO CHE SIA STATO FONDAMENTALE: L’INCONTRO CON ELVIN JONES. NON E’ COSI’?
Incidere ed essere a fianco di Elvin Jones è stata una esperienza enorme. Ho imparato molte cose da quel periodo, in particolar modo come la coerenza porta a chiari risultati. In quel periodo Elvin Jones ci raccontava le pretese di certe case discografiche, gli chiedevano di suonare più rock. Il suo rifiuto ed il continuare a suonare acustico con il set di tamburi non esagerato, l’essere stato sempre fedele al linguaggio coltreniano, senza accettare mode, è stata una scelta premiata con il tempo. Tutto questo mi è stato utile per aprire gli occhi e per guidarmi nella mia modesta ricerca. I suoi consigli e le sue indicazioni mi hanno sempre illuminato la strada. Ho sempre privilegiato la mia curiosità verso il mondo sonoro afro-latino e questo mi ha allontanato dai circuiti americani. Nessun pentimento! Rifarei le stesse scelte.
…COME MAI CI SONO CERTI MUSICISTI DI CUI POCHI O NESSUNO SI E’ OCCUPATO?
Penso che questo sia provocato anche dalla globalizzazione dell’informazione, sempre intorno alla discografia di una èlite, alle esigenze di mercato e pronta a lasciare notevoli spazi alla mediocrità. E’ un nodo difficile da sciogliere.
Un giorno Elvin Jones mi disse che i migliori non li ascolteremo mai nei dischi. Certo non è stato il suo caso! C’è un proverbio africano che dice: _fino a che i leoni non avranno i loro storici, le storie di caccia continueranno a glorificare il cacciatore”. Inoltre si sa benissimo che a volte fare la lode e omaggi ai famosi, possa servire per aumentare il proprio prestigio. Una prova lampante dello stato dei mezzi di informazione, la si può avere percorrendo minuziosamente le frequenze radiofoniche. Quando va bene si ascolterà solo un programma di musica classica. Questo nel paese di Giuseppe Verdi!.
…DI SONNY TAYLOR E DI NORBERTO MINICHILLO COSA MI PUOI DIRE?
Di Sonny Taylor basta ricordare il suo incredibile feeling caraibico ed il suo splendido brano: _Maya”. Di Minichillo devo dire che tenuto conto della sua vasta esperienza ed informazione, dovrebbe occupare un posto ufficiale importante nel campo musicale di Buenos Aires, invece non è così. I raccomandati calpestano gli spazi!
Soltanto entrando in una favela, in un morro di Rio de Janeiro, si può avere un’idea dell’enorme quantità di talenti. Nel mio lungo soggiorno nel morro di Salgueiro e parte integrante della _Bateria” della Scuola di Samba, ho avuto la fortuna di vedere e frequentare incredibili percussionisti. Molti di loro non sono mai usciti dal luogo dove abitano. Questa esperienza è molto bella, ma può trasformarsi in un amaro riferimento quando ascolti certi rappresentanti della percussione brasiliana lanciati dal mercato al potere.
RICORDO DI GEORGE (CHICO) AGHEDO
Sono passati già due anni esatti dalla scomparsa di George Aghedo (Benin City-Nigeria- 7 agosto 1940). Anche di lui si sono occupati in pochi. Dal momento del decesso sono apparse su di lui alcune sintetiche notizie e una bella serata commemorativa in un locale di Milano. L’incontro con Luis Agudo mi e ci ha dato l’occasione di poterne parlare in maniera corretta e documentata.
…HAI CONDIVISO DELLE BELLE EMOZIONI A FIANCO DI GEORGE AGHEDO. ESSENDO ANCHE TU UN PROFONDO CONOSCITORE DELL’AFRICA E DELLE SUE USANZE, QUAL E’ IL TUO RICORDO DI CHICO?
George Aghedo se ne è andato troppo presto lasciando un grande vuoto nel campo della percussione. Per fortuna possiamo ascoltare le sue registrazioni, a quanto pare l’unica cosa che ci permette di valutare le sue capacità musicali. Il suo tempo granitico, il suo tocco ed il senso ritmico erano genuinamente africani. Era uno straordinario showman dotato di grandissima musicalità. Uno dei suoi tamburi faceva la funzione di contrabbasso. Quando suonava era una garanzia totale: dove c’era lui la musica funzionava a meraviglia. Ho un paio di aneddoti da raccontare di Chico, così lo chiamavano i suoi colleghi nigeriani:
Un giorno gli chiesi il suo curriculum, mi serviva per presentare il lavoro che facevamo insieme. Dopo un certo tempo mi fece avere alcuni fogli dove spiegava la sua crescita nei ghetti di Lagos (capitale della Nigeria) e che per aiutare suo padre a mantenere i sei fratelli, iniziò la sua carriera di pugile. In questo foglio dettagliava minuziosamente il suo percorso pugilistico, come si fa normalmente per una pubblicazione sportiva. Grande fu la mia perplessità, dovuta ai miei limiti. Soltanto più tardi mi resi conto di questa grande lezione di vita: un individuo suona quello che ha vissuto, non con chi ha suonato.
Le nostre litigate avevano un alto contenuto di surrealismo. Un giorno tornando a Milano (avevamo suonato con Billy Cobham), molto provati dalle ore di viaggio e da un notevole consumo non precisamente di acqua minerale, George mi comunica che dovevamo suonare il giorno dopo a Foggia. Gli risposi che non potevamo farcela. Partimmo con la sua potente macchina, che lui guidava ad altissima velocità tanto da non permettere di vedere la segnaletica. Oltrepassammo Foggia, dovemmo tornare indietro e chiaramente arrivammo con un notevole ritardo sul luogo del concerto. Così suonammo solo per pochi minuti. Fu soltanto la sua simpatia altamente coinvolgente, che ci permise di non essere rimproverati dall’organizzatore.
IL CD: _SOUTH OF THE WORLD”
La Red Records di Sergio Veschi è una etichetta sempre attenta a valorizzare talenti originali e fuori dalla norma. Lo prova il ricco catalogo ed il reperibile _JazzNotice” (Magazine 1) che contiene oltre venti anni di impegno soprattutto verso il jazz moderno, l’improvvisazione e fin dall’inizio verso l’etno jazz. Targato RR269 _South of the World” ne è una delle ultime testimonianze. Firmato dal talentoso chitarrista argentino, ma di evidenti origini polacche, Pablo Bobrowicky che lo vede coinvolto insieme ad altri due eccellenti connazionali: il percussionista Luis Agudo e il batterista e soprattutto marimbista Norberto Minichillo ed al saxofono alto Bobby Watson. 12 brani originali e 2 classici di Monk riarrangiati ed interpretati in maniera insolita e di grande effetto, oltre 70 minuti di musica che fonde tradizioni, linguaggi, varietà ritmico – timbriche e raffinate melodie. Ma South of the World è soprattutto un esempio di integrazione, di coinvolgimento e di rispetto.
…LUIS CI PUOI RACCONTARE COME E’ NATO QUESTO CD?
Un giorno mi chiamò a casa, stavo a Santiago, Pablo Bobrowsky, comunicandomi l’intenzione di registrare alcuni brani insieme a Norberto Minichillo, con il quale sono legato da molti anni da una profonda amicizia. Il giorno dopo partii per Buenos Aires per trovarci tutti e tre in sala di registrazione. Al termine della registrazione consigliai a Pablo di spedire la cassetta a Sergio Veschi di Milano. Rispose prontamente sollecitandoci di aggiungere altri brani sufficienti per completare il CD. Rientrammo così in sala. Non avevamo mai suonato insieme prima e le nostre prove le abbiamo fatte in sala, più verbali che pratiche. La sorpresa più grande fu quella di scoprire Norberto, lo conoscevo come batterista e percussionista, non come bravo suonatore di marimba.
…QUANTI SONO I BRANI E COME TI SEI RELAZIONATO CON LORO E CHE STRUMENTI HAI UTILIZZATO?
I brani sono 14. Pablo ne aveva già incisi 2 a New York con altri musicisti in un contesto tipicamente bebop, con Pepi Taveira alla batteria. Poi ne abbiamo scelti due di Thelonius Monk, _Straight no chaser” e _Well you needn’t”, dove ho utilizzato il Boloum Batam (arpa – liuto a tre corde Malinke n.d.a.) come basso. Tra le registrazioni reperibili nei cataloghi etnici è la prima volta che questo strumento viene registrato in un contesto diciamo jazzistico. Per il brano _Nescape”, a New York avevo dato a Bobby Watson la base registrata da noi. Lui a Milano, dopo averla ascoltata una volta sola , ha subito sovrainciso. Certo, stiamo parlando di Bobby Watson!. _De Buenos Aires a Rio”è un brano di Minichillo dove suona la marimba, Pablo la chitarra ed io il tutago, un set personale formato da una conga messa orizzontalmente su cui appoggio tamburine, agogo ect., che mi permette di suonare una ritmica piuttosto complessa.. _Casinha pequenina” è un vecchio brano del repertorio popolare brasiliano. Il brano _Tierra,aire y fuego” è una Chacarera, un ritmo tipico del folclore argentino, sicuramente di origine africana. E’ una eredità, un patrimonio che viene trasmesso dalle radici di ognuno, è quello che chiamiamo linguaggio e non è questione di bravura. Mio padre, che era un ottimo chitarrista suonava la chacarera ed io da bambino lo accompagnavo con un piccolo tamburo folclorico, che si chiama Caja Salteña.
…PENSAVATE DI INCONTRARVI NELLO STUDIO DI REGISTRAZIONE PER FARE UNA PROVA, INVECE DOPO IL PRIMO ASCOLTO E’ DIVENTATO CD. IL LIVE STUDIO RECORDING E’ UN’ALTRA COSA CHE TI APPARTIENE, NON E’ COSI’?
La musica jazz è un formidabile esempio, nel senso che i figli degli africani, nel desiderio di esprimersi, adottano gli strumenti che non gli appartengono facendo nascere la musica probabilmente più importante di questo secolo. Quando si possiede un linguaggio, con i suoi codici, si può suonare anche una scatola di fiammiferi e dire qualcosa. Difficile è quando non lo si possiede e si vive inventando. La Ricordi di Buenos Aires ha pubblicato un libro di Minichillo, dove illustra tecnicamente i ritmi delle nostre terre.
…E GLI ALTRI BRANI?
Ce n’è uno in cui suono il pianoforte, dopo aver registrato il ritmo con la batteria. Si chiama _Aniké” che vuol dire, nel linguaggio senufò della Costa d’Avorio, grazie. Il ritmo invece appartiene all’immenso bagaglio musicale del Togo, che ho imparato molti anni fa a Parigi dal trombonista togolano Adolph Winkler. _Maxi cuore” l’ho composto con il mio pandeiro: si tratta di una descrizione umoristica ed amichevole della personalità di Norberto nell’ambiente musicale notturno di Buenos Aires. _Imagino Salgueiro è una composizione di Pablo dedicata alla Scuola di Samba di Rio, dove ho passato un bel pezzo della mia vita. _Luli” è un altro delicatissimo brano di Pablo, è il racconto di una bambina che porta quel nome. _Casi seguro” è un brano suonato in duo: Pablo alla chitarra ed io al Djembé e al Darabuka. Il ritmo si chiama Candombe del Rio della Plata, più precisamente di Montevideo — Uruguay. _Max_who?” è un brano di Minichillo che ha inciso a New York. Vorrei menzionare il giovanissimo Esteban Perez Ezquivel che ha partecipato al disco con i flauti dell’altopiano boliviano, che lui stesso costruisce, ed il fonico Alvaro Vilagra che comprova il fatto che il tecnico di registrazione deve essere anche un musicista.
…E IL _BLUES PARA ADAMO”?
Mentre eravamo in studio di registrazione ci arrivò la notizia della scomparsa del padre di Sergio Veschi e così gli abbiamo dedicato un piccolo blues. Da molto tempo ci lega con Sergio una amicizia e collaborazione. Devo sottolineare il suo coraggio: pubblicare la musica di tre argentini registrata nella loro terra, non è facile dal momento che tutti sanno che le cose che hanno certe radici, per avere una certa ripercussione devono essere fatte a New York_è uno scherzo, amaramente umoristico.
Intervista di Peppe Consolmagno