Mauro Pagani

Mauro Pagani si mette poco in luce. Ma c’è sempre. E con grande effetto.
di Christian Ronzio

Il nome di Mauro Pagani compare nei credit di molti lavori, se non come musicista, arrangiatore o produttore, almeno come ispiratore. E’ il caso degli Afterhours, solo per fare un esempio.
Per non parlare del suo studio di registrazione, il Next-Officine Meccaniche cui negli anni si sono rivolti in tantissimi: gli stessi After, gli Almamegretta, Vinicio Capossela e altri.

La musica per Mauro Pagani (classe 1946) è sempre stata un pallino; ancor prima che diventasse per lui un “vero” lavoro.
Turning point della sua vita e della sua carriera è stato l’incontro con Franz di Cioccio e Franco Mussida, nel 1970. Nasce la Premiata Forneria Marconi, band con la quale registra quattro dischi e partecipa a trionfali tournée in Italia, a cinque tournée europee, quattro tournée negli Stati Uniti e un’indimenticabile tournée in Giappone, dove i critici musicali inseriscono Pagani nella rosa dei dieci migliori musicisti del mondo.

Nel 77 lascia la Pfm e dà avvio alla sua carriera di solista, che lo porterà a collaborare con innumerevoli grandi personaggi del mondo musicale internazionale. Eppure, al cosiddetto grande pubblico il nome Mauro Pagani non dice molto.
Dopo la Pfm, nel 1978 esce il suo primo album solista intitolato semplicemente Mauro Pagani, con il quale anticipa svolte etniche che saranno realtà soltanto molto più tardi; poi il progetto Carnascialia, Passa la bellezza (1991) e infine nel 1999 esce il suo ultimo album solista.
In mezzo stanno collaborazioni con Gabriele Salvatores e Fabrizio De Andrè.
Per il regista premio Oscar realizza prima le musiche di Sogno di una notte d¹estate – spettacolo dello storico Teatro dell¹Elfo di Milano – poi la colonna sonora di Puerto Escondido (1992) e Nirvana.
Con De Andrè registra Creuza De Ma (1984), votato Miglior disco italiano degli anni 80, inserito da David Byrne tra i dieci dischi più importanti dello stesso decennio in tutto il mondo, e per alcuni critici, come Enzo Gentile, “probabilmente la massima opera realizzata in Italia nel campo della canzone”, ancora oggi. Con il cantautore genovese Pagani incide un altro capolavoro Le nuvole (1990), che riprende il discorso iniziato con Creuza, per chiuderlo definitivamente. Solo questo basterebbe. Ma c’è dell’altro.
Il poliedrico strumentista si butta anche nel campo dei jingle pubblicitari, e nel 1997 vince il Premio RadioFestival per il Miglior jingle radiofonico dell¹anno con lo spot Heineken, quel giro di note che è rimasto nella testa degli italiani per tantissimo tempo.

Hanno un segreto i suoi successi? Il talento certo. La lungimiranza sicuramente. “Bisogna cercare di essere avanti, ma non troppo. Se sei troppo avanti non riesci più a dialogare e la società, il pubblico ti perde. Questo era anche il segreto della Pfm. E grazie a questo modo di fare musica la Pfm ha ottenuto quello che ancora oggi nessun artista o gruppo rock italiano ha ottenuto”.

Mauro Pagani è sempre pronto a distribuire a piene mani il suo talento, per questo il suo curriculum contempla numerose altre collaborazioni, con Gianna Nannini, Ornella Vanoni, Roberto Vecchioni, Tullio De Piscopo, Mario Lavezzi, Alberto Fortis, Zucchero, Brando, Resistenza, Paolo Bragaglia, Timoria, Gang, i già citati Bluvertigo, Almamegretta, Afterhours e tanti altri.

Con molta attenzione segue l’evolversi della musica, l’arrivo di giovani e talentuose band, con le quali spesso si trova a lavorare. E i giovani musicisti lo considerano un piccolo guru, al quale rivolgersi per districare una qualsiasi matassa musicale. La disponibilità da parte sua non manca mai.
Impegni concertistici a parte, lo possono trovare sempre al Next ­ Officine Meccaniche di via Ludovico il Moro a Milano, dove siamo andati a trovarlo pure noi, più che per un intervista, per una chiacchierata informale.

Ad attenderci c’è Serena, luminosa segretaria di Mauro Pagani, la Lucy del Next.
Tutti in studio hanno un soprannome legato ai personaggi di Peanuts, che spiccano sulla parete dell¹ufficio posto all’entrata dello studio. C’è Lucy-Serena che urla “Cosa avete combinatooo!”. E Mauro Pagani-Schroeder, chino sul pianoforte. Strumento che in verità non ama molto. “Sono soprattutto un musicista di strumenti a corda, e principalmente un violinista” dice. E’ infatti il violino il suo primo amore, ma suona ugualmente bene il mandolino elettrico, il flauto e una serie infinita di altri strumenti più o meno conosciuti.

Dai molto spazio allo studio?

Purtroppo non ho molto tempo per studiare, ma so che dovrei studiare tutti i giorni.

Guardando oltre il polverone che viene alzato da giovani band e musicisti sostanzialmente radiofonici, cosa vedi?

La media si è sicuramente alzata in questi ultimi anni. I giovani musicisti sono tecnicamente più preparati di un tempo. Ma mancano i picchi.
Da quanto tempo nel panorama rock italiano non viene fuori uno che si possa dire un grande musicista?
Tutti bravi, nessuno bravissimo. E spesso peccano di presunzione. Li aiuta in questo il fatto che ora è più semplice fare tutto: puoi allestirti uno studio in cantina, con il quale fare egregiamente una pre-produzione. Risparmi anche. Poi arrivano in studio per fare il resto e, granitici, non vogliono cambiare una virgola di quello che ritengono essere il risultato migliore.
Non è un discorso generale il mio. Ma sempre più spesso s¹incontrato giovani musicisti così.
Il mio consiglio è sempre quello di farsi aiutare, di affidarsi all¹inizio a un produttore, di interagire con il produttore, perché è come una scatola piena dal quale uno può attingere liberamente; il tutto senza farsi affascinare troppo e quindi perdere la propria identità, e continuando a lavorare su se stessi.

Sulla capacità di molti produttori ci sarebbe molto da dire.

In effetti in Italia non c¹è granché. La maggior parte dei produttori punta a finire il proprio lavoro nel più breve tempo possibile per stare dentro con le spese, visto che le percentuali che prendono sono bassissime.
Una produzione normale dovrebbe durare cinque sei mesi, ma visto che il produttore è comunque sempre una persona che deve mangiare, pagare un affitto o un mutuo, il lavoro si concentra tutto nell¹arco di due mesi al massimo.
Le case discografiche hanno grosse responsabilità in tutto questo. Il musicista fallito, finito e frustrato che fa il produttore è un’altra figura. Questo soggetto tende a scaricare tutta la sua frustrazione sul gruppo che produce e così cerca di imporsi, con effetti devastanti.

Per fortuna c’è qualcuno che si distingue per il talento: Manuel Agnelli, Morgan, soltanto per citare tra i più conosciuti

Poi? Credo che tu abbia finito la lista. Non ce ne sono moltissimi in giro di produttori con talento. La maggior parte fa il “mestiere”.
Il mondo della musica in Italia svela continui paradossi: artisti osannati dalla critica che vendono tantissimo, ma che nella dimensione live – quella che dovrebbe risultare la più congeniale a un musicista – risultano inadeguati; artisti che nell’immaginario comune, creato dai mass-media, appaiono come dei divi, senza avere assolutamente i numeri per esserlo (talento, professionalità etc.); artisti che invece vendono qualche migliaio di copie, pur facendo centinaia di date con migliaia di persone davanti al palco e pur essendo riconosciuti come talenti. Il mercato italiano è drogato ­è troppo legato alla diffusione attraverso i mass-media. Radio, giornali, tv spingono il prodotto raramente di qualità e così si creano i fenomeni.
Si vende il pezzo selezionato dai dj. Vende l¹artista che passa in radio o in televisione, il disco incensato dal critico di turno. Tutto fumo. Questi gruppi fanno il primo disco, vendono milioni di copie, fanno il secondo, ne vendono qualche migliaio e poi spariscono. Tanto possono campare con quanto avevano guadagnato prima.
Di esempi ce ne sono tantissimi. Questi musicisti non fanno musica, fanno tappezzeria per la vita, musica per la casa, da ascoltare quando pulisci il pavimento, quando fai l’amore, quando innaffi i fiori.
La vera musica, quella da ascoltare attentamente, la fanno altri. Che non raggiungono il grande pubblico.
Le case discografiche continuano a puntare sul gruppo del momento, sul fatturato immediato e non più sul lungo periodo, sulla crescita del giovane artista. Ma il sistema è destinato a collassare. E’ questione di tempo.

Mauro Pagani rimane un artista di confine: presente in molte produzioni, ma lontano da quello che è il circo della musica e dello spettacolo – con i suoi pagliacci e i suoi domatori – anche quando ci è dentro (nel 2000, per esempio, fece parte della Commissione artistica che selezionò il cast di cantanti per il Festival di Sanremo). Il circo lo conosce bene e attraverso i suoi occhi può essere facilmente messo a nudo e deriso. Stare sul confine è l’unico modo per saltare velocemente dall¹altra parte. E il suo confine, la sua dogana è il Next ­ Officine Meccaniche. Da cui tutti passano e in cui lui lavora e vive.

Quattro regie: una sala big, da far brillare gli occhi al più scafato musicista, una sala media e due piccole. Sei dipendenti fra tecnici e amministrazione, più lui, Mauro Pagani.
Il meglio dell’analogico lavora fianco a fianco alle più moderne tecnologie in fatto di registrazione. Una sorprendente collezione di strumenti. Tutti di Pagani, ma a disposizione di chiunque frequenti lo studio.
Oggi Next-Officine Meccaniche non ha bisogno di truccare le carte. In Italia è il re degli studi di registrazione e a livello internazionale non sfigurerebbe al fianco di altri più blasonati studi (nonostante al numero 57 di via Ludovico il Moro si presentino ancora persone che chiedono un lavoro da tornitore).
Pagani il Next lo ha rilevato circa tre anni fa. Uno studio storico nel quale hanno registrato Vasco Rossi, Adriano Celentano, Mina. Dal passato glorioso quindi. Ma per un certo periodo è stato il buio. Alcune vicissitudini legate alla proprietà hanno relegato lo studio in fondo alla classifica delle preferenze. Poi la rinascita con un nuovo nome e un nuovo proprietario. Quel Mauro Pagani che comunque nelle Officine Meccaniche aveva sempre bazzicato. E ora lo studio milanese è tornato a essere punto di riferimento per molte band, con grandi sacrifici del proprietario.

Avere uno studio di registrazione è una grande rottura di coglioni ­- dice con il sorriso sulle labbra -. E certamente non una fonte di guadagno.
Ma per me lo studio di registrazione è un pò come la bottega per l’artigiano. E’ il mio mondo. E’ anche il posto dove gli altri portano qualcosa, l’esperienza, le capacità, cose che in qualche modo rimangono e a cui nel tempo puoi attingere.

Così, io sono praticamente sempre qua e la gente ormai mi vede come parte dell¹arredamento, insieme a tutti i miei strumenti. Ma ora voglio fare un appello a tutti i gruppi e i musicisti che passano dal mio studio: non siete costretti a farmi suonare, lo giuro. Potete anche soltanto salutarmi, non mi offendo.

Eppure per molti musicisti il suo aiuto è indispensabile, la sua esperienza preziosa. In oltre trent¹anni di musica Pagani ha assistito e partecipato a cambiamenti, evoluzioni che per molti giovani musicisti di adesso sono soltanto racconti.

I tempi sono cambiati ­- dice ­- siamo passati dal tagliare fisicamente le singole tracce per fare il missaggio, al computer sul quale rimane tutto e col quale puoi fare tutto. Niente viene perduto con le moderne tecnologie: puoi riprendere cose registrate un sacco di tempo prima per inserirle in un contesto nuovo.
Se sbagli, non c’è nessun problema, puoi modificare l’errore, puoi tagliare e incollare dove e come vuoi. Tutto è più semplice. E anche un musicista o un cantante mediocre può fare bella figura. La tecnologia aiuta. E quelli bravi possono fare cose straordinarie. Ma serve sempre l’anima, altrimenti il lavoro rimane freddo, senza personalità.

Indiscutibilmente, comunque, le nuove tecnologie hanno permesso la nascita di nuove cose, di un nuovo modo di fare musica.

E questa tecnologia, questa professionalità disponibile in Italia, perché non ci porta a essere una meta ambita per gli artisti stranieri? Spesso gli stessi italiani preferiscono andare altrove a registrare.

Andare a registrare in qualche studio famoso all¹estero, a Londra o a Los Angeles, è per molti artisti ritenuto qualificante. Anche se poi in Italia avrebbero la possibilità di ottenere le stesse cose dal punto di vista oggettivo. Molti studi di registrazione italiani possono tranquillamente concorrere alla pari con quelli europei e statunitensi, sia per quanto riguarda la tecnologia, sia per la presenza di fonici bravissimi.
Non esiste più alcun gap tecnologico fra Italia ed estero. Ma poter inserire sul cd il nome del tale tecnico o produttore, del tale “esoterico” studio, per molti musicisti è come avere una medaglia al petto.
D’altronde noi in Italia abbiamo un problema. Rispetto all’estero siamo sempre “almost”: quasi bravi, quasi famosi per colpa del provincialismo di molti.

Il tuo lavoro da solista, nonostante gli impegni che hai con tanti altri artisti, procede?

Ho ripreso in mano un lavoro iniziato quattro anni fa e che ho gettato nel cestino già due volte. Ma forse adesso è la volta buona e a settembre dovrei uscire con un nuovo cd.

di Christian Ronzio

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