Lorenzo Micheli

Conosco Lorenzo da molti anni.
Anzi Lorenzo è un amico.
Di quelli che vedi saltuariamente, ma con i quali passi sempre piacevoli serate a chiacchierare di cose serie e meno serie (tendenzialmente la seconda). E’ facile che, soprattutto in estate, tra uno spaghetto allo scoglio e un sorso di Vermentino dei Colli di Luni ci si trovi a parlare di cosa ci frulli per la testa (siamo coetanei) e, perché no, anche di musica.
Dico “anche” perché Lorenzo Micheli, che è uno dei più grandi esponenti della chitarra classica al mondo, è tipo rilassato e affabile che per nessun motivo fa “cascare dall’alto” la sua indiscussa cultura musicale.

Per capirsi è uno di quelli che, se in una serata di amici gli si chiede di suonare (ancora…) la chitarra, lui la prende e la imbraccia.
Con la stessa passione ti suona qualche splendido pezzo di Guccini o dei Dire Straits o una Variazione di qualche gran maestro del passato.
L’effetto ottenuto è sempre il medesimo: silenzio e bocche semiaperte.

Dell’intervista, poi, ne abbiamo parlato spesso e, finalmente, l’abbiamo realizzata in un batter d’occhio tanto erano chiare e sentite le domande che sarei andato a fare.

ZioMusic.it: se guardo il booking delle date sul tuo sito vedo un sacco di concerti, e moltissimi negli Stati Uniti. Hai un’attività live molto intensa: raccontaci qualche cosa sugli ultimi anni sempre in giro per il mondo.

Lorenzo Micheli: la grandezza della musica sta nella capacità di esprimersi attraverso codici linguistici che sono condivisi universalmente e che non conoscono confini geografici.
Così, dopo dodici anni di attività concertistica ininterrotta, è naturale che la parte preponderante della mia attività si svolga ormai all’estero: quest’anno, da solo e in duo con Matteo Mela, ho viaggiato molto in Europa (Irlanda, Norvegia, Finlandia, Estonia, Francia e Slovenia) e negli Stati Uniti.

In due lunghe tournée a luglio e ottobre ho toccato North Carolina, Connecticut, Virginia, Texas, Tennessee, Minnesota e Georgia, ricevendo anche la consacrazione del Washington Post – uno dei quotidiani più blasonati d’America.
Nel marzo e nel luglio 2007 sarò in Canada, e nel corso dell’estate di nuovo negli USA. Tra l’altro proprio la settimana scorsa io e Matteo abbiamo firmato un contratto con un’importante agenzia di Toronto, che dal primo dicembre ci rappresenterà per tutto il Nord America. All’America sono molto legato per varie ragioni: lì ho vinto, nel 1999, quello che è probabilmente il più importante concorso di chitarra del mondo (il Guitar Foundation of America), ho registrato alcuni dei miei dischi e ho tenuto oltre cento concerti.
È un paese grande, e quindi, naturalmente, un grande mercato, con molte risorse e una lungimirante capacità di investire nella formazione e nell’educazione. È anche un paese in cui i minori condizionamenti culturali e le minori opportunità di ascolto (in particolare nelle città medie e piccole) stimolano maggiormente l’interesse e l’entusiasmo per la musica che nella raffinata e un po’ viziata Europa.

ZioMusic.it: tu sei un chitarrista, ma so che ti stai dedicando anche ad altri strumenti meno “convenzionali”. L’ultima volta che sono stato da te ho intravisto nel tuo studio una custodia enorme, contenente uno strumento a corde pizzicate non proprio notissimo.

Lorenzo Micheli: quella che hai visto è la mia tiorba, la copia di uno strumento veneziano del 1630 costruita dal liutaio praghese Jiri Cepelak. La uso soprattutto in ensemble, per realizzare il basso continuo e accompagnare la voce o altri strumenti, e sto per registrarci un disco dedicato al Seicento italiano (per l’etichetta Straduvarius) insieme all’arciliuto di Massimo Lonardi e alla chitarra barocca di Matteo Mela.

La tiorba è in qualche modo la creazione estrema, nel campo degli strumenti a corde pizzicate, del barocco italiano: negli anni in cui Caravaggio esplora tutte le tonalità dell’ombra e Bernini fa rivivere dal marmo la metamorfosi di Dafne, i liutisti sperimentano nuove sonorità ed estendono la tessitura dei propri strumenti verso il registro grave.
La tiorba ha 14 corde semplici (sei sono bordoni non tastati), a differenza degli altri strumenti della famiglia dei liuti, che montano tutti corde doppie. La sua sonorità inconfondibile deriva dalla particolarissima accordatura rientrante, con le due corde più alte accordate un’ottava sotto: in questo modo il tiorbista realizza scale e arpeggi usando molto le corde a vuoto e gli effetti di risonanza detti “campanelle”, con risultati timbrici molto suggestivi. La tiorba ha anche una piccola ma significativa letteratura solistica, per lo più italiana: nella prima metà del XVII secolo vengono date alle stampe i libri di intavolatura di Alessandro Piccinini, Giovanni Girolamo Kapsberger e Bellerofonte Castaldi.


Lorenzo Micheli e a destra Matteo Mela

ZioMusic.it: concerti ovunque, pubblicazioni, 8 album all’attivo, seminari e stage, ma la tua rimane una musica per pochi in Italia. Cosa pensi in proposito?

Lorenzo Micheli: credo che sarebbe presuntuoso – oltreché velleitario e utopico – pensare che la musica colta debba necessariamente essere musica “per tutti”.
Non lo è stata nel secoli passati, e oggi forse lo è ancora meno, ma su questo noi musicisti dovremmo soffermarci a riflettere e recitare un piccolo mea culpa.
Ci sono tante ragioni alla base dell’esiguità del pubblico e dello scollamento fra la musica e i suoi potenziali destinatari; ragioni estetiche, certo, ma anche ragioni legate al “volume” e ai rumori della vita contemporanea, e ai tempi e modi dell’ascolto musicale in quest’alba di XXI secolo.
E poi c’è una fondamentale e colpevole carenza nel sistema educativo del nostro paese, ma questo discorso ci porterebbe lontanissimo. Io porto in giro la musica in cui credo profondamente, e cerco di raccontare a chi ascolta la bellezza, la complessità e la preziosità di quello che suono: questo è lo scopo che mi prefiggo anche con i miei studenti, quelli del conservatorio di Aosta, quelli dell’Accademia di Pescara e di Milano, quelli che incontro nelle masterclass, nelle Università e nei Festival.
Penso che non ci sia nulla di più importante, per un musicista, che cimentarsi in questo “disvelamento” del bello alle persone che sono disposte a cercarlo. L’esperienza mi ha mostrato che, di fronte al fascino dell’architettura musicale, vengono meno anche le divisioni in generi e stili. Ho visto un gruppo di metallari venire in processione a chiedere informazioni su una Suite di Bach; e dopo un concerto all’Università di Tallahassee, in Florida, ricordo un ragazzo che, avvicinandosi, mi ha detto: “ho provato tanti tipi di droga, nella mia vita, ma quell’ultimo pezzo li supera tutti.” Comunque, tornando alla domanda iniziale, se la musica classica oggi ha pochissima visibilità, è pur vero che ci sono alcuni canali che riescono ancora a mettere in contatto con un pubblico più ampio. Per esempio, nel novembre del 2007 uscirà un doppio CD dedicato alla musica da camera di un compositore del primo Ottocento, allegato alla rivista Amadeus, che viene distribuita in tutte le edicole e stampata in circa 35.000 copie (tieni presente che un disco di classica, mediamente, ha una tiratura di poche migliaia di copie). Per la chitarra sarà un’occasione preziosa per raggiungere virtualmente tutti gli angoli d’Italia.

ZioMusic.it: passiamo al tuo strumento. Quanto tempo dedichi (e riesci a dedicare) allo studio? Hai degli esercizi preferiti o adotti accorgimenti particolari per tenerti sempre elastico, fluido e preciso nell’esecuzione?

Lorenzo Micheli: col passare degli anni e la moltiplicazione degli impegni su più fronti (attività concertistica, insegnamento, pubblicazioni, ricerca, registrazioni) il tempo per lo studio si riduce. Credo che un segno di grande maturazione nel modo di studiare sia la capacità di far fruttare al meglio gli spazi: diminuisce inevitabilmente la parte della giornata trascorsa sullo strumento, ma aumenta la concentrazione, e il lavoro si indirizza in modo sempre più sicuro, preciso e diretto sui problemi interpretativi e tecnici. Quanto agli esercizi, l’unica cosa che non smetto mai di fare – e di raccomandare – è di pensare alla musica che si suona: ricordarla, immaginarla, analizzarla, sviscerarla con la riflessione prima ancora che con le dita.
È il metodo di lavoro che dà i frutti più belli.

ZioMusic.it: come nasce il tuo interessamento alla chitarra classica? Hai mai sentito negli anni il desiderio di “escursioni” in territori musicali differenti come il rock, il pop, il jazz?

Lorenzo Micheli: l’interesse per la chitarra nasce per caso, quasi da solo, anche se certo attecchisce in un terreno favorevole (la passione di mio padre per la musica, e la chitarra in particolare, e un ambiente famigliare che è sempre stato di grande supporto).
Nelle sonorità della chitarra classica ho ritrovato la mia “piccola cosmogonia” personale, il mio universo musicale prediletto, una dimensione pienamente soddisfacente. E per questo non sono mai stato seriamente tentato da escursioni in altri generi di musica.
Questo non vuol dire che io non ami cose molto eterogenee: ho la discografia completa di Brad Mehldau e dei Police, di Pat Metheny e di Peter Gabriel, di Egberto Gismonti e dei Dire Straits.
Quest’anno ho anche scritto e inciso l’arrangiamento di una canzone per il nuovo album di Francesco Camattini – bravissimo cantautore di Parma – in uscita per l’etichetta Egea.

ZioMusic.it: mi tocca la “domandaccia”: i professionisti e gli addetti ai lavori (come tecnici, fonici, musicisti ecc…) non sono ben tutelati e “inquadrati” nel nostro paese. Cosa credi che manchi?

Lorenzo Micheli: la mia limitata esperienza mi ha insegnato che l’Italia è un paese capace come pochi altri di produrre eccellenze: i tanti tecnici del suono italiani con cui ho lavorato sono superiori ai loro pur bravi colleghi stranieri; i musicisti con cui ho avuto la fortuna di suonare sono straordinari, e sono considerati dei punti di riferimento ben oltre i patri confini.
Però in Italia le eccellenze si producono in gran numero, ma si riconoscono e si mettono a frutto malvolentieri: esse vengono ostacolate, riassorbite e uniformate a livello medio-basso (ad esempio nell’istruzione musicale), in un meccanismo pernicioso che coinvolge a diversi livelli singoli, istituzioni, enti concertistici, sindacati. La prima cosa che manca, dunque, è un po’ di meritocrazia in più – che favorirebbe la crescita professionale e artistica di tutti, e aiuterebbe la causa della musica in questo nostro strano paese.
E poi mancano naturalmente i mezzi: come può uno studioso lavorare se la biblioteca del conservatorio di Milano, una delle più grandi d’Italia, fa servizio di distribuzione al pubblico tre (sic!) ore al giorno? Vergogna.

ZioMusic.it: concedimi una sorta di provocazione. Hai mai pensato che potresti diventare un produttore o comunque collaborare con la discografia nel settore musicale a cui appartieni?

Lorenzo Micheli: ci ho pensato, certo, e anche molto seriamente. Il primo problema è che devi avere qualche soldo da investire, e purtroppo al momento non è la mia situazione. Ma non solo: quello discografico è un settore difficile, gli spazi sono pochi, devi avere poche idee, ma chiare e originali. Io ho tante (troppe) idee, piuttosto confuse e complessivamente scopiazzate qua e là.
Prendi Manfred Eicher della ECM: è un genio del marketing. Accosta un grande musicista e un grande coro, fa un disco a metà tra sacro e new age con una semplice successione armonica a carattere misticheggiante che si ripete immutabile per un’ora (appena increspata da gorgheggi vocali e strumentali) e vende decine – forse centinaia – di migliaia di copie.
E la gente – sottoscritto incluso – a volte non compra il disco per la musica, ma perché è affascinata e soggiogata intellettualmente dalla prepotente personalità della collana ECM…

ZioMusic.it: per concludere, sei attirato dalle nuove tecnologie e dalle possibilità offerte dalla rete?
Nella musica classica o comunque contemporanea, senza necessariamente porre limiti di etichetta, internet rappresenta una possibile ancora di salvezza o semplicemente un palliativo?

Lorenzo Micheli: naturalmente la rete, che è e sarà sempre più l’unico canale di distribuzione in grado di raggiungere tutti gli angoli del pianeta in tempo reale, è destinata a giocare un ruolo via via più importante nella diffusione della musica.
Però…spero di non essere etichettato come un porco reazionario al servizio delle major se faccio un’altra considerazione, a proposito del rischio insito nell’uso delle nuove tecnologie per la diffusione indiscriminata e libera dei contenuti (musicali, ma non solo).
L’industria della musica classica – ma questo vale anche per la narrativa, per la saggistica, in parte per il cinema – non genera flussi di denaro imponenti: la sua sopravvivenza è dunque legata inevitabilmente a un rudimentale meccanismo di autosostentamento.
Un’edizione musicale costa almeno un mese di lavoro, un disco (preparazione, registrazione, postproduzione) un anno. Se il frutto della tua fatica viene immediatamente clonato e distribuito in serie (fotocopiato, masterizzato, scannerizzato, caricato su un server), se passa il messaggio che esso deve diventare “bene di tutti, fruibile gratuitamente e immediatamente”, se il prodotto culturale non riesce nemmeno a raggiungere il break-even, la soglia minima di sussistenza, allora esso è destinato a morire. Oppure – che forse è anche peggio – a scadere di qualità, o a diventare appannaggio di coloro che possono permettersi il lusso di usare la propria creatività senza la necessità di viverne.
Ti confesso che rabbrividisco quando leggo le dichiarazioni dei gruppuscoli che predicano l’abolizione del diritto d’autore…

info: www.lorenzomicheli.com

Aldo “hucchio” Chiappini
ZioGiorgio.it staff

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