AudioLezioni – La Compressione

Sommario: 

Se Non Lo Sai Sallo! – Cenni storici e curiosità.

Prof. ZioMusic – Come funziona e quali sono i principi.

Smanettando – Tipologie, tecniche, parametri e terminologia per andare sul sicuro.

Recording! – Sezione con esempi audio professionali appositamente registrati.

Master Tricks – I trucchi dei maestri ed i segreti del successo.

Best Of… – Le unità migliori, i pezzi introvabili e che hanno fatto la storia dell’audio.

              

La nascita del primo compressore è argomento di dibattito da anni ormai e ancora oggi non si sa con precisione a chi attribuirne davvero l’invenzione. Questo non tanto perché manchino le prove, ma perché il concetto di compressione è stato sviluppato negli anni pionieristici delle prime trasmissioni radiofoniche, con contributi venuti da più menti e settori diversi.
Come spesso capita per molte invenzioni antiche e moderne, ci sono grosse probabilità che siano stati motivi militari a premere per lo sviluppo di una tecnologia che consentisse ai segnali radio di arrivare anche molto lontano senza distorsioni che li rendessero incomprensibili. Uno dei classici problemi della radiotrasmissione era la sovramodulazione, in cui il segnale audio andava fuori scala causando distorsioni dell’inviluppo e una ricezione molto distorta. Ponendo un limite superiore alla dinamica del segnale audio si evitava la sovramodulazione, da qui l’idea di comprimerlo in ampiezza. Questa idea è da molti attribuita a scienziati tedeschi dell’inizio del ‘900.

Sempre dalla Germania, da un’evoluzione di quegli apparecchi, arriva quello che è considerato dai più il primo vero compressore ideato per applicazioni audio. Siamo nei primi anni ’30, alla Telefunken, dove viene prodotto il primo vero compressore valvolare, l’U3, usato poi per la diffusione audio ai Giochi Olimpici di Berlino 1936. Un dispositivo che è considerato l’El Dorado dei dispositivi vintage. Ne furono prodotte solo pochissime unità e attualmente non c’è notizia di esemplari superstiti.

Durante la Seconda Guerra Mondiale uscì l’U13, il primo compressore a ponte di diodi, il progenitore di tutti compressori non-valvolari moderni.
L’avvento della radio in forma commerciale stava cambiando le necessità tecniche dei produttori. Il compressore diventò una necessità per proteggere gli altoparlanti delle prime costose radio dai picchi di volume ed allo stesso tempo per rendere il volume delle varie trasmissioni più costante e piacevole.

Rohde & Schwarz nel 1953 uscirono con un compressore più evoluto, chiamato “U23”, punto di partenza per uno dei brevetti più famosi della storia dell’audio, l’U73, costruito dalla TAB nella Germania Ovest per Telefunken/AEG. Prodotto fino agli anni ’80, fu prima usato nelle radio, poi entrò per un breve periodo negli studi di registrazione e infine venne utilizzato per lo più nel campo del mastering, per ottimizzare l’incisione del vinile. Praticamente ogni disco inciso in Europa tra il 1960 e il 1980 è passato attraverso una coppia di U73.

Negli Stati Uniti non se ne stavano con le mani in mano, e solo qualche anno più tardi rispetto all’Europa, nel 1937, la Western Electric commercializzò il suo compressore 110A. Alcuni addirittura lo nominano come il primo limiter mai costruito ma, indipendentemente dal primato, fu sicuramente responsabile di una grossa evoluzione nella trasmissione radiofonica USA, permettendo di aumentare la potenza degli amplificatori e allargare l’audience delle stazioni.
Nel continente americano nel giro di pochissimi anni uscirono unità di compressione poi divenute molto famose, come l’RCA 96A, il Collins 26-C e quindi il Gates 17-A.

 I primi compressori erano dei pesi massimi. Ecco il Western Electric 110A.

I compressori audio vintage sono legati a storie spesso molto affascinanti e si potrebbe scrivere un intero articolo per ognuno di loro. Qui possiamo limitarci solo a citare brevemente quelli che sono stati i passi fondamentali nella storia della compressione degli anni d’oro con le date di uscita di alcuni miti indimenticabili dell’audio.

1945 – Esce il Fairchild 670, il più famoso compressore di tutti i tempi. Con le sue 20 valvole, 14 trasformatori e 30 Kg, è sicuramente un peso massimo.

1960 – Siemens produce l’U273, il primo compressore a stato solido, basato quindi su transistor, e considerato ancora oggi tra i migliori in assoluto.

Anni ’60 – CBS Laboratories produce prima l’Audimax e poi l’Volumax e altre unità, compressori ad ampia banda, che eliminavano diversi difetti come ad esempio l’effetto ‘vento’ dei primi compressori, aumentando considerevolmente l’headroom e la qualità dei dispositivi.

1965 – Teletronix LA-2A è il forse il primo attenuatore elettro-ottico che riesce a risolvere in maniera efficace il problema dell’aumento della distorsione armonica nella compressione.

1967 – Nasce l’UREI 1176, uno dei peak limiter più famosi di sempre. Il suo design elettronico è realizzato per la prima volta solo con transistor.

Anni ’70 – Rupert Neve crea il Neve 33609JD Stereo Compressor, dispositivo che costituirà uno degli standard nell’audio per circa 30 anni.


Ecco il mitico Fairchild 670. Questo compressore, se originale e in buono stato è valutato decine di migliaia di euro.

   

                          

Prima di parlare di compressione aggiungiamo il concetto di dinamica di un segnale. La dinamica, o gamma dinamica, è l’intervallo di livello misurato solitamente in deciBel tra il picco di minore e quello di maggiore intensità di un segnale. Detto in parole povere, anche se non proprio tecnicamente corrette, la differenza in dB (deciBel) tra il suono di volume più alto e quello più basso.

Il principio

La compressione, in soldoni, è il controllo elettronico del livello del segnale audio così da ridurne la dinamica. Un po’ come se, ipoteticamente, fossimo così veloci da poter regolare la manopola del volume dell’audio alzando e abbassando per sentire meglio quello che più ci interessa.
Sempre semplificando, un compressore funziona così: ad un certo ‘volume’ del segnale audio in ingresso fa corrispondere un ‘volume’ inferiore in uscita, secondo un rapporto chiamato "ratio", quando il segnale supera una certa soglia di ‘volume’.

La compressione può avvenire verso il basso, riducendo quindi i picchi massimi di un segnale, oppure verso l’alto, aumentando il livello delle parti di segnale più deboli. La compressione verso il basso viene utilizzata per livellare i picchi di ‘volume’ evitando la saturazione o distorsione del segnale da parte delle apparecchiature elettroniche o digitali, la compressione verso l’alto si usa per rendere più intellegibile un segnale alzandone delle parti.
Viene da se che se combiniamo la compressione verso l’alto e quella verso il basso non facciamo altro che ‘schiacciare’ il segnale in ampiezza da ambo le parti diminuendone la gamma dinamica, da cui il termine ‘compressione’.

Qualche esempio pratico?

  • Le stazioni radiofoniche utilizzano la compressione per rendere più intellegibile l’audio trasmesso anche a chi sta ascoltando in un ambiente con molto rumore di fondo come l’automobile, ambienti di lavoro, locali o sale pubbliche. Il rumore di fondo altrimenti potrebbe risultare più elevato delle parti più deboli del segnale.
  • Le trasmissioni televisive aggiungono una compressione molto aggressiva durante gli spot pubblicitari per far si che questi abbiano un volume percepito più alto, nonostante noi non abbiamo toccato il volume dal telecomando.
  • Nella maggioranza della musica moderna registrata si aggiunge compressione alla parte di voce per far si che questa non soccomba mai sotto gli altri strumenti.

Come fa nella pratica il compressore a fare quello che fa?

Ovviamente nel tempo le cose si sono complicate parecchio, ma ancora oggi possiamo a grandi linee riassumere il comportamento di un compressore in tre blocchi o fasi. Queste possono corrispondere o meno, a seconda della complessità del progetto, ad effettivi circuiti elettronici che svolgono queste funzioni. Nel caso del digitale i circuiti sono sostituiti da algoritmi, o blocchi di algoritmi, analoghi.

Le tre fasi sono:
– Creazione di un segnale, chiamato ‘side-chain’, che contenga l’informazione del livello istantaneo del segnale.
– Utilizzo del ‘side-chain’ per determinare il livello di intervento sul segnale audio.
– Compressione del segnale tramite una sezione di amplificazione controllata dal side-chain.

Quindi il segnale in ingresso nel compressore viene diviso in due parti uguali, una va direttamente al circuito di amplificazione, l’altra viene usata per creare il side-chain che, dopo essere passato nel circuito di controllo del livello a cui abbiamo detto qual’è la soglia sopra il quale attivare il compressore, torna anch’esso al circuito di amplificazione che lo userà come segnale di attivazione. In uscita avremo quindi il segnale originale compresso secondo ‘le istruzioni’ del segnale side-chain.

 

Ecco lo schema di un compressore Feed-Forward in cui è possibile anche equalizzare il segnale side-chain.

Il segnale side-chain può essere prelevato prima o dopo lo stadio di compressione. Se il side-chain è prelevato prima il compressore avrà un design circuitale di tipo Feed-Forward, se prelevato a valle verrà chiamato di tipo Feedback. I primi compressori erano di tipo Feedback ma questo non permetteva una risposta sufficientemente veloce per proteggere da picchi di volume molto intensi e brevi. Il design Feed-Forward, pur essendo più complesso, permette di reagire in modo quasi istantaneo alle variazioni del segnale ed è quindi adottato nella quasi totalità dei compressori attuali.

 

                                                      

Le diverse tipologie di compressori

Digitale a parte, che richiederebbe un articolo a se in cui parlare degli algoritmi di compressione, le tipologie hardware di compressori sono principalmente quattro. La distinzione tra queste categorie sta nei dispositivi elettronici che creano il segnale side-chain ed effettuano la compressione.
Moltissimi, se non la maggior parte, oggi usano plug-in digitali per la compressione. Questo fortunatamente non cambia la validità di quanto detto poiché la stragrande maggioranza dei compressori software sono repliche digitali delle unità hardware di cui stiamo trattando e ne replicano il funzionamento e spesso anche l’aspetto.

Vediamoli in breve:

  • Valvolari, o Variable-Mu – Le valvole termoioniche vengono guidate in tensione dal segnale side chain ed amplificano o riducono il segnale in entrata. Furono i primi compressori ad essere progettati. Chi li usa ricerca la tipica saturazione caratteristica delle valvole. (Un esempio eccellente ne sono i compressori Gates STA)

  • VCA – La compressione del segnale avviene tramite circuiti elettronici controllati in tensione, solitamente circuiti contenenti transitor, spesso realizzati in circuiti integrati. Sono tra i più diffusi perché molto flessibili, più fedeli, con banda più ampia, meno ingombranti e più pratici dei valvolari, oltre al fatto di poter avere una risposta anche molto veloce. (Gli API come l’unità 2500 sono un eccellente esempio di VCA)

  • FET – Simili ai VCA basano il loro funzionamento su un tipo di transistor molto diffuso chiamato FET (Field-Effect Transistor). Avendo una risposta velocissima al segnale sono tra i compressori più aggressivi e adatti a transienti brevi come quelli delle percussioni. (Tra le unità FET migliori di oggi ci sono i costosi Daking)

  • Opto – Soluzione molto elegante e semplice dal punto di vista elettronico, si basa su una ‘lampada’ la cui luce è proporzionale all’intensità del segnale audio. Questa è posizionata di fronte ad un fotoresistore, o fotodiodo, che cambia la sua resistenza secondo la quantità di luce che riceve. Il fotoresistore controlla l’amplificatore. Più luce dalla ‘lampada’, minore il gain dell’amplificatore che quindi comprime il segnale. Data la trasduzione piuttosto indiretta, questi compressori sono molto amati per la loro risposta soft, abbastanza lenta, con una curva di compressione molto dolce. (L’Universal Audio LA-3A è ‘universalmente’ riconosciuto tra i migliori opto-compressori)


     

I metodi

Nei decenni fonici e ingegneri del suono si sono messi alla prova sul delicato argomento della compressione, uno dei passi più delicati e decisivi della catena del suono. Molte tecniche e soluzioni sono state sviluppate per ottenere maggiore fedeltà alla fonte, per ovviare problemi o anche per creare risultati creativi e musicali. Non potendo scorrere tutte queste interessanti soluzioni vi proponiamo le metodologie di compressione audio storicamente più utilizzate.

Seriale o Parallela?

La compressione di un segnale è generalmente di tipo “seriale”, ovvero il segnale entra nel compressore e ne esce alterato. Questo comporta però un processo irreversibile sul segnale. Per questo motivo negli anni ’50 negli States (c’è chi dice fu un fonico newyorkese ad inventarla, chi invece i fonici della Motown a Detroit) si cominciò ad usare la compressione “parallela”, che consiste nel dividere il segnale audio in due percorsi indipendenti, uno inalterato e l’altro compresso. Agendo sul livello e l’equalizzazione del segnale compresso si può decidere quanto peso dare alla compressione ed ai dettagli enfatizzati, questo senza alterare il segnale originale.
Questa tecnica è molto utile quando si vogliono rinforzare le dinamiche basse ma si vogliono mantenere i picchi originali, oppure per dare molto risalto ai transienti rapidi senza schiacciare eccessivamente il tutto.

Come compressione seriale si intende spesso anche l’utilizzo di più compressori in serie. Un processo spesso usato dai professionisti dell’audio per ottenere risultati impossibili con un solo stadio di compressione. Un esempio può essere quello di una traccia vocale con un limiter lento e molto soft per controllare il livello generale (tipo opto-compressor), seguito subito da un compressore più veloce ed aggressivo (tipo VCA, ad esempio) che sistema i picchi più rapidi senza ridurre troppo la dinamica.

Compressione Multi-banda

Un’altra tecnica molto usata è la compressione multi-banda. Il concetto è molto semplice, si tratta di dividere in segnale in diverse bande di frequenze e dare a ciascuna un livello di compressione diversa. Questo perché una compressione indifferenziata su tutto il segnale a volte può portare, ad esempio, a migliorare l’intellegibilità delle alte frequenze ma allo stesso tempo dare troppa energia alle basse frequenze e risultare in un suono fuori controllo, ‘imballato’, o addirittura distorto.
Nel tempo la compressione multi-banda è stata sviluppata finemente fino ad ottenere compressori hardware e software che integrano questa tecnica senza dover ricorrere alla divisione del segnale in più bande manualmente.
Con l’introduzione della compressione multi-banda si è creata una vera e propria scienza sulla selezione delle bande e il trattamento di queste a seconda dello strumento da trattare e del genere musicale. Nella nostra sezione esempi potete sentire qualche esempio di quanto può fare la differenza una compressione multi-banda rispetto ad una a banda singola.

Il noto software Ozone di iZotope contiene un’utile compressore multi-banda per il mastering. Come si vede lo spettro sonoro è diviso in bande, ognuna con la sua compressione differenziata.

Manipolazione del Side-Chain

Essendo il side-chain un segnale che replica l’audio in ingresso è possibile anche barare e ‘truccare’ questo segnale per poi dare in pasto al regolatore del livello di compressione un segnale diverso che risponde alle nostre esigenze.
E’ possibile quindi processare questo segnale nel modo che più ci piace.
Lo possiamo equalizzare con filtri aggressivi per far si che il compressore sia attivato solo da una certa banda di frequenze, anche strettissima. Tutto il segnale verrà compresso ma solo nei momenti in cui la nostra banda di frequenze scelta supererà la soglia prestabilita. E’ molto utile quando vogliamo eliminare componenti dinamiche in frequenza che danno fastidio. E’ il caso del De-Esser, che non è altro che un compressore il cui segnale side-chain è stato equalizzato per rilevare solo le frequenze sibilanti della voce. Il compressore se ne starà buono buono, completamente inattivo per tutto il resto del tempo, ma quando le sibilanti insidiose faranno capolino nella traccia di voce andrà velocissimo a ridurre il gain, così da evitare i soliti picchi legati a queste consonanti.

Un altro modo in cui si può ‘truccare’ il side-chain è di sostituirlo completamente con un altro segnale. Vi è mai capitato di sentire un pezzo techno o house con quella cassa pompatissima che salta fuori dalle casse? Ecco come si ottiene. Si mandano tutte tracce, esclusa la cassa, ad un bus-compressor e si sostituisce il side-chain con il segnale della cassa. Il risultato sarà che avremo una compressione verso il basso su tutte le tracce sincronizzata con la pulsazione della cassa, che risulterà quindi molto più delle altre tracce, pur mantenendo lo stesso livello di volume nel pezzo. Questo effetto, e qui a volte si crea una certa confusione, è chiamato proprio effetto Side-Chain.

Il Gate

L’effetto gate è molto usato in molti campi per sopprimere il rumore di fondo o tagliare le code di note o colpi impulsivi che magari hanno un sustain o riverbero eccessivo. Anche qui non si tratta altro che di un compressore (anche se sarebbe più corretto qui chiamarlo Expander) estremamente aggressivo che, sotto una certa soglia, porta a zero il volume. Anche in questo caso potremo regolare la soglia ma anche parametri come attacco e rilascio, come in un compressore normale, per definire il profilo, più o meno, veloce della riduzione.
Un esempio classico dell’utilizzo del gate lo troviamo nella microfonazione delle batterie dove, per eliminare i rientri nei microfoni degli altri pezzi, spesso si inserisce un gate. Anche nelle chitarre molto distorte è spesso un bene inserire un gate, così che nei momenti di pausa il rumore di fondo dell’amplificatore verrà portato a zero.

Il DBX 1066 è un limiter/gate molto usato sia in studio che nei live, per eliminare i picchi ed i rumori indesiderati come i rientri nei diversi microfoni della batteria degli altri pezzi.

Ecco, prima di passare ai nostri esempi audio professionali, qualche termine che potrebbe esservi utile nella oscura giungla della compressione.

Audio-Dizionario della Compressione

    • Gain – E’ il guadagno che si intende dare alla nostra traccia, è uno stadio di amplificazione costante che praticamente tutti i compressori hanno. Molte volte è regolabile sia in entrata che in uscita (in questo caso viene indicato come livello di Input e di Output) e può essere positivo o negativo.
    • Side-Chain – E’ il segnale audio convertito in informazione di livello che comanda l’amplificatore del compressore (vedi sopra).
    • Threshold – E’ la soglia di livello sul segnale side-chain che serve al compressore per decidere quando attivarsi e disattivarsi.
    • Ratio – E’ il tasso di compressione. Quando il compressore si attiva ridurrà il livello secondo il rapporto 1 : Ratio. Se, ad esempio, il ratio è 10, ad un aumento di gain in entrata di 10dB in uscita avremo solo 1dB. E’ il numero che definisce la pendenza della curva di compressione sopra la Threshold, o Soglia, che tutti vediamo nei compressori software.
    • Attack – E’ il tempo, espresso usualmente in millisecondi, in cui il compressore dopo essersi attivato raggiunge il livello determinato dal Ratio. Un attacco più veloce corrisponde ad un intervento più pronto e rapido della compressione.
    • Release – E’ il tempo, anch’esso in millisecondi, in cui il compressore ritorna ad una amplificazione /soppressione di 0dB dopo che il segnale è sceso sotto la soglia.
    • Hard/Soft Knee – Alcuni compressori danno la scelta di determinare se la curva di compressione debba avere uno spigolo vivo (hard knee) o più smussato (soft knee). Nel primo caso si avrà un intervento a scatto del compressore subito dopo la soglia, nel secondo caso per livelli attorno alla soglia il compressore adotterà un Ratio intermedio e graduale tra 1 e quello stabilito dall’utente.
    • Limiter – Si tratta di un compressore utilizzato per limitare il livello di un segnale sotto una certa soglia. Questo tipo di compressore adotta un Ratio molto alto, anche 100, per evitare che il segnale superi il limite stabilito. Per questo motivo vengono spesso chiamati anche Brickwall (“muro”) Compressor.
    • Expander – Si tratta di un “compressore” che invece che lavorare riducendo il range dinamico lo aumenta. I noise gate sono il tipo più comune di expander.
    • Buss Compression – E’ un normale compressore che però invece che agire su una singola traccia va a lavorare su gruppi di tracce o anche su tutto il mix.

 

                                   


Esempio di posizionamento della threshold a livelli diversi
Nel sample trovate prima la voce flat, poi tre esempi con gain reduction di -4.0dB /- 7dB / -10dB.
Notate come la voce con valori di attenuazione maggiori diventa più aggressiva. La compressione aumenta il volume percepito e rende i dettagli molto più presenti (incluso rumori indesiderati).


 
Esempi di compressione con diverse ratio da bassa a alta
Nei sample trovate prima il basso flat, poi tre esempi con ratio di 4:1 / 6:1 /8:1.
Il basso necessità più compressione di chitarra e voce, con valori di ratio abbastanza elevati per uniformare il suono.



Esempi di compressione con attacco veloce/attacco lento (batteria, rullante, chitarra)

Ascoltate quanto un attacco estremamente veloce, con valori di release, ratio e treshold costanti,  snaturi i transienti del segnale originale e aumenti la percezione di ambiente e risonanze.




Esempi di compressione con release veloce/release lento (Rullante e pianoforte)

Sentite quanto un rilascio troppo veloce causa effetti del tipo "pompaggio" o può rendere il segnale instabile a livello dinamico.


 
Esempio di compressione single-band e multi-band
Ascoltate quanto una compressione limiting (tipo maximizer) multibanda permette interventi più precisi in confronto a quella single-band.


Esempio di compressione side-chain

Per capire bene il concetto abbiamo esagerato un po’…


Esempio de-esser

Tarare il de-esser è una faccenda delicata. Esagerando si rischia l’effetto "Jovanotti"…


Esempio expander

Per far lavorare bene un expander (gate) servono valori di picco del segnale più costanti possibili.

                               

  • Nell’articolo sull’equalizzazione abbiamo consigliato di utilizzare più le orecchie e meno gli occhi per la scelta delle impostazioni, in particolare considerando che viviamo nell’era dei plug-in con rappresentazioni grafiche “invitanti”. Ovviamente questo consiglio vale anche per la compressione, ma in più raccomandiamo fortemente di studiare (e capire) bene le varie funzioni del compressore, perchè il rischio di fare dei danni è veramente alto. La compressione è un processo apparentamente semplice ma che richiede invece molta attenzione!
     
  • In linea di massima si bilancia treshold e ratio in questo modo: valori di treshold bassi, ovvero molto negativi, vanno abbinati a valori di ratio minori, mentre valori di treshold alti con valori di ratio più importanti. Settare treshold e ratio è purtroppo solo metà del ‘gioco’, il controllo che fa la maggiore differenza e determina in grossa parte il volume percipito è il tempo di rilascio (release time).
    Non lo trascurate mai quindi.
     
  • Per evitare di far comandare la compressione dell’intero mix dagli strumenti dominanti a livello di energia sonora (di solito grancassa e basso), conviene utilizzare una compressione multibanda o in alternativa effettuare una compressione a sezioni. Vuol dire creare dei gruppi di strumenti, comprimere singolarmente ogni gruppo, e poi combinarli di nuovo insieme, con il vantaggio che gli strumenti dominanti confinati in sezioni diverse non possono più interferire tra di loro (sempre che non si voglia avere proprio quell’effetto) e rendere il mix tollerante a una compressione finale più importante.
     
  • Il basso di solito va compresso tanto, possibilmente a parte, con valore di ratio anche fino a 5:1 e oltre.  Attenzione ai tempi di rilascio troppo veloci, sempre che non si vogliano volutamente distorsioni armoniche pronunciate.  
     
  • La voce va compressa molto, non fatevi intimidire, deve uscire sempre bene dal mix. Riducendo però molto il range dinamico e alzando tanto il make-up gain, si enfatizzano molto i respiri e altri rumorini delle labbra, lingua e denti a dismisura. Come sempre vale: più è bravo il performer, più si può comprimere la voce. Per fortuna ora la registrazione digitale ci da una mano a fare ‘pulizie’ molto mirate di questi difetti. Come punto di partenza può andare bene una ratio di 3:1 con un treshold moderatamente basso e una release time abbastanza veloce, tipo 160ms.
     
  • Comprimere la batteria è una faccenda molto delicata, è molto facile distruggere l’attacco e frizzantezza del suono. E’ uno dei casi dove il limiting funziona abbastanza bene: così si riescono a “beccare” i picchi dei transienti e aumentare leggermente il volume in generale. Aumentare i tempi di attacco è un altro consiglio pratico, farà passare il transiente iniziale senza intervento, permettendo alla compressione di aumentare la risonanza della batteria per un suono più “ciccio” in generale.
     
  • Durante il missaggio di un brano, personalmente preferisco sempre lavorare già con un limiter inserito sul master per evitare delle sorprese in fase di mastering. Ovviamente senza esagerare! Il limiter usato a sproposito tende sempre a suonare un po’ duro e sgradevole, avendo un effetto molto drastico è innaturale sulla dinamica del segnale.
     
  • Ecco, già che ci siamo: abbiamo parlato spesso della “loudness war”, ovvero la tendenza di far suonare tutto il più alto possibile e limitare il range di dinamica in pochi dB. Beh…non c’è neanche bisogno di discutere: un brano musicale meno schiacciato suona meglio. Punto.

 

        
                                      

  • Telefunken U73 – Derivato direttamente dai primi compressori tedeschi mai prodotti per scopi audio commerciali, ha una storia davvero interessante che vi abbiamo narrato in breve nella prima parte. Utilizzato per anni in ogni campo, dagli anni ’60 in poi è divenuto il riferimento assoluto per la compressione mastering per l’incisione del vinile.
     
  • Fairchild 670 Il più famoso compressore di tutti i tempi. Ospita 20 valvole, 14 trasformatori e pesa circa 30 Kg. Le unità originali ancora funzionanti non sono moltissime e chi decide di liberarsene lo fa solo a cifre a quattro zeri!

  • Teletronix LA-2A – Compressore/Limiter elettro-ottico valvolare divenuto famoso per il suo intervento naturale e molto morbido che non altera il suono e non genera distorsione armonica proprio per il suo tempo di attacco e rilascio relativamente rilassati.
     
  • UREI 1176 – Primo compressore FET, concepito negli anni ’60, è un altro dei riferimenti assoluti nel campo dell’audio. Negli anni è stato ri-proposto in circa sei versioni diverse con modifiche successive, dalla versione A alla C. La più famose di queste versione, e la più copiata, è la C.
     
  • UREI LA-3A – Famosissimo compressore elettro-ottico a stato solido e tra i più utilizzati in studio per la capacità di rispettare il programma musicale più di altri. Se volete ascoltare il suo ‘suono’ potete provare a ricercarne le sfumature caratteristiche in Purple Rain di Prince.
     
  • Neve 33609JD Stereo Compressor – Citato da molti ingegneri del suono come il compressore che si porterebbero su un’isola deserta. E’ un compressore/limiter stereo dal comportamento non esasperato che lavora molto bene praticamente su quasi tutte le sorgenti.
     
  • RCA Ba6 – Compressore valvolare dall’intervento molto minimale ed apprezzatissimo proprio per questo suo rispetto e sensibilità per le sorgenti anche più delicate. Molto usato sugli strumenti acustici, è addirittura talvolta sostituito allo stadio di preamplificazione tra il microfono e l’hardware da registrazione.
     
  • SSL 4000 G Buss Compressor – Si tratta del compressore buss centrale integrato nella famosa console SSL 4000 G che è poi stato copiato a più riprese nel circuito e nel tipo di intervento in grado di controllare molto bene transienti veloci. E’ considerato uno dei migliori circuiti compressori per mettere insieme le tracce di un mix e fare una cosa sola in modo molto omogeneo.

 

   
Luca “Luker” Rossi
 
Redazione ZioMusic.it


Guido Block                
Redazione ZioMusic.it
 

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