Il 10 novembre ci siamo recati al Blue Note di Milano per incontrare Marco Manna, da sempre collaboratore tecnico e responsabile per il suono al rinomato Jazz Club e ristorante milanese, e Zoran Matejevic, da più di 10 anni il fonico resident della location.
Ci hanno raccontato come è nato il Blue Note, le scelte fatte per la gestione ottimale a livello tecnico del locale e le difficoltà che si possono incontrare quando si ospita quasi ogni sera un nuovo live act, con artisti che non per forza sono di estrazione puramente Jazz. Così sarebbe stato anche quella sera, visto che avremmo potuto assistere (con molto piacere) al concerto dei “Level 42”, mitico gruppo Pop-Funk, clamorosamente all’avanguardia negli anni ’80, capitanata dal bassista/cantante Mark King e il tastierista/cantante Mike Lindup.
Marco Manna, proprietario del service “Ladies & Gentlemen“, nonché storico fonico live degli Area e tantissimi altri artisti, ci spiega come è nato il Blue Note di Milano:
“Il progetto nasce da una storia personale di Paolo Colucci, socio fondatore del locale. Alla metà degli anni Ottanta lavorava a New York, gli piaceva molto il jazz e frequentava il Blue Note della Grande Mela. Lui ha covato per lungo tempo un sogno e venti anni dopo, durante una vacanza al mare, in spiaggia mi confessò che era stufo di fare l’avvocato, voleva fare qualcosa di diverso. “Per esempio?” chiesi io. “Aprire un Blue Note a Milano” rispose! “Parliamone”… Così, rientrato dalle vacanze mi misi subito alla ricerca di un posto adeguato e tra le due location che avevamo individuato, Paolo scelse questa, una ex fabbrica di tende e che conoscevo bene perché avevo un magazzino in zona. Così partì tutta l’avventura.”
Da sx: Zoran Matejevic e Marco Manna
Fin dall’inizio è stato coinvolto nel progetto l’ingegnere del suono Zoran Matejevic. Nato in Serbia, ha studiato fisica fino al 1993 e poi lavorato prima per un Broadcast-Server nazionale, a livello della RAI Italiana per intenderci, dove ha gestito come capo gruppo un piccolo auditorium. Qui curava le registrazioni di dischi e il broadcasting di musica classica, big band e acid jazz anche a livello europeo, come per esempio le dirette Eurovision. Dopo questa esperienza di sette anni, nel 2000, si è spostato a Milano, dove è dovuto partire praticamente da zero e mettersi in gioco con altre cose…
”Sono nato come fonico da studio,” racconta Zoran, “e se devo essere sincero mi manca molto il lavoro che facevo in quel periodo. Era ancora tutto analogico e si lavorava su due pollici. Quegli studi di registrazione esistevano dagli anni ’60 e le persone che mi hanno insegnato il mestiere erano tutti signori di una certa età, ovvero tecnici che ai tempi si vestivano ancora con il camice bianco, da laboratorio. In quella struttura esistevano ancora dei ‘miscelatori’ Siemens otto canali, frigoriferi enormi, senza fader, dove tutto si faceva con il gain e basta. E’ in quel periodo che ho imparato tantissimo sulla struttura del guadagno, argomento che oggi come oggi, incluso stasera purtroppo, la maggior parte dei fonici non conosce. Entrando nel mondo digitale questo aspetto è pure peggiorato…”
Come mai dici questo Zoran? (il nostro Guido Block lo interrompe subito curioso di sapere…ndr)
Il problema è proprio nella trasformazione dei segnali, cominciando dalle impedenze dei microfoni e dei preamplificatori. Spesso mi chiedo se i fonici effettivamente sanno quanto deve essere il rapporto tra due impedenze. Tanti operatori televisivi per esempio ignorano del tutto la differenza tra i segnali, che tipo di segnale sta viaggiando e come proteggerlo al meglio.”
Zoran Matejevic al DiGiCo SD8
I mixer FOH e monitor al Blue Note da un po’ di anni sono DiGiCo SD8, prima ci si affidava alle prestazioni di un MIDAS Legend 3000 in regia e quando serviva, un MIDAS Siena 48 canali per i monitor.
“Credo che abbiamo avuto l’unico MIDAS sfortunato della storia dei MIDAS.” racconta Marco, ridendo. “Non voleva funzionare. E’ andato bene i primi sei mesi e poi sono cominciati i problemi. Abbiamo cambiato prima tutti i pannelli sopra, poi quelli dietro. Visto che dopo questi interventi non funzionava ancora, Stefano Cantadori [fondatore dell’importatore e distributore italiano Audio Link; ndr] ha fatto un gesto incredibile e ce l’ha sostituito. Con il nuovo banco siamo andati bene per un po’, ma poi purtroppo si sono verificati gli stessi problemi…”
Interviene Zoran: “Succedeva in particolare sulle dinamiche basse. Sparivano proprio dei canali aux, poi con segnali più forti si riaprivano. Non siamo riusciti a capire che cosa avesse il banco. Però il concetto del Legend 3000 era molto intelligente, perché aveva l’equalizzazione separata dei monitor, che era abbastanza comodo. Il perfetto mixer da club.”
“Quando Audio Link non ha più trattato MIDAS come marchio in distribuzione,” continua Marco “siamo andati a vedere i DiGiCo e abbiamo deciso di andare avanti con Stefano e la sua ‘banda’ e quindi DiGiCo ovviamente. Siamo partiti subito con l’SD8 e dopo un po’ ne abbiamo preso un secondo, anche per una questione di spazio. Prima, quando serviva, utilizzavamo per il monitoring un Siena 48 canali, ma era pesante e con i rack di outboard diventava troppo ingombrante. Quando il locale è pieno, perdere sei/otto posti è un peccato, un locale piccolo non se lo può permettere.
Rack FOH con il QSC Q-Sys Core 500i
Adesso ci troviamo con due DiGiCo ma pian piano sta entrando sempre più materiale di Stefano al Blue Note [ride, ndr]. Adesso abbiamo anche un processore QSC, perchè il vecchio DBX 480 che usavamo prima ci aveva piantato in asso. Fatta la scelta, da Audio link ci hanno mandato un processore Q-Sys Core 500i con un tecnico che ha installato e settato tutto in poco tempo. Questa macchina per la verità è anche più grossa di quello che avevamo bisogno e verrà sostituito a giorni dal fratello più piccolo, il Q-Sys Core 250i.”
Il QSC Q-Sys Core 500i visto da dietro
Zoran: “Questo processore QSC è una macchina che come concetto potrebbe sostituire teoricamente un banco. Basta avere un hardware di controllo e il gioco è fatto. Tanto il cuore è quello. Impressionante in realtà è che questi software, che lavorano su EPROM, hanno una velocità molto più elevata rispetto ai programmi che vengono installati su sistema operativi, ci sono software che pesano 100 mega ed oltre, invece quello di DiGiCo viaggia su un sistema Windows e pesa meno di 30 mega. Tutte queste cose ci fanno capire che non è una questione di capacità di hard-disk ma di processing, perché effettivamente con i processori che abbiamo a disposizione oggi potremmo creare tutto un mondo diverso…
Q-Sys per esempio è un sistema ‘a tabula rasa’, che può essere programmato in base a qualsiasi esigenza dell’operatore. Anche nell’installazione fissa: basta un touchscreen e l’operatore in un sistema multi-piano può controllare i valori ed i contributi in qualsiasi zona o stanza.
L’impianto Audio Performance
Qui al Blue Note per quanto riguarda le zone ci serviamo del Q-Sys di QSC per controllare solo le teste dell’impianto array Audio Performance che sono staccate dal resto. Chiaramente vengono allineate tra di loro e in uno spazio cosi piccolo questo va fatto molto accuratamente, poi tutto l’impianto è spostato leggermente all’indietro, teste e sub sono allineati sulla linea di cassa e basso. Dietro le casse del PA si trovano gli in-fill, che servono per coprire la galleria laterale, dove si posizionano di solito gli appassionati che vogliono vedere tutti i trucchi e come muovono le mani i loro eroi. Diamo questo supporto senza esagerare, per non aumentare i problemi del palco. La linea di ritardo che si trova sulla galleria di fronte al palco è alternata left/right, left/right. Di solito lavoro con comb-filtering, quindi un left/right che risulta come se il suono venisse dal palco, facendo solo un refresh di frequenze alte e medio alte, che risulta molto arioso. L’immagine è molto distorta sulla linea delay, dando la possibilità di sentirsi circondati dal suono. Acusticamente, l’intenzione è quella di far sentire il suono arrivare dal palco, non dai diffusori della linea di ritardo.
Amp rack con finali Audio Performance e Crown + “patch work” vario
DiGiCo gestisce oltre al PA e il palco lo streaming per ShowGo.tv negli Stati Uniti, un progetto ancora in fase di sviluppo che permetterà in futuro che ciascuno da casa collegato in streaming possa vedere non solo la totale del palco, ma ha anche zoomare sui musicisti singoli e fare da regista televisivo lui stesso. In più c’è Radio Montecarlo e i contributi necessari per le radio e le televisioni che vengono qui a fare delle registrazioni. Da quando c’è il QSC abbiamo aggiunto una scheda AES/EBU che permette un collegamento diretto con il DiGiCo, senza avere ulteriori ritardi. Dal QSC il segnale viaggia in analogico verso il crossover, solo per le teste, tutto il resto va praticamente nel full range del resto del sistema, dove le teste Audio Performance per medie e alti vengono amplificate con i Crown Macrotech 3600.
I sub, che abbiamo cambiato di recente, sono due da 18” posizionati ai due angoli frontali del palco, e sono amplificati da finali Audio Performance. Chiaramente tutto in stereo e come spiegavo prima stiamo tentando il più possibile di utilizzare il comb-filtering e far suonare il palco, non far gridare le casse.”
Zoran non utilizza nessun tipo di outboard, quello che offre l’SD8 gli è ampiamente sufficiente. Ci spiega: “Ovviamente anche a me piacerebbe usare dei macchinari outboard vintage e Marco ne ha un bel po’ a disposizione, ma se vogliamo lavorare a costi sostenibili bisogno saper fare un business plan realistico. Comunque con quello che abbiamo siamo arrivati a un livello piuttosto alto, allinetao al livello europeo. Non è così usuale trovarsi due SD-8 in un club di 300 persone.
Proprio il batterista di stasera, che era già venuto più volte con gli Incognito, oggi mi ha confermato ancora quanto è piacevole per i musicisti suonare qui al Blue Note di Milano.”
Fare suonare bene un club non è mai facile perché spesso bisogna fare dei compromessi per necessità strutturali e/o di design, e il Blue Note non fa eccezione. Esteticamente tutto il club è molto coinvolgente e curato nei dettagli. La presenza della galleria che soppalca a forma di “U” tutto il locale e la postazione FOH tutta spostata a destra in fondo al locale e parzialmente coperta dalla galleria sono sicuramente soluzioni problematiche a livello acustico. Molto particolare anche la struttura di vetri a forma di tetto spiovente sopra il centro della sala, bellissima, ma che solo a vederla farà venire i brividi a tutti i sound engineer.
Vista dalla galleria frontale
Zoran: “Effettivamente a livello acustico quella specie di campana di vetro è un problema, ma è vantaggioso per chi lavora qui ogni giorno e può usufruire della luce naturale. E’ anche vero che la disposizione a forma di U con il palco in mezzo alla gente a livello acustico è particolare, ma per il musicista diventa un’esperienza unica suonare su un palco di questo tipo, immerso nella gente. Il posizionamento della regia FOH è semplicemente dovuto dalla necessità di non togliere via posti a sedere. E’ tutto una questione di compromessi. Qui non si può mettere un mixer monitor enorme con un parco di rack vicino come alle volte ci chiedono di fare le produzioni esterne che ospitiamo, non c’è lo spazio.
Marco Manna: “Il problema della galleria lo abbiamo risolto benissimo con la linea di ritardo. Infatti sopra in galleria di fronte al palco si sente molto bene, in particolare nelle situazioni più acustiche.”
Arriviamo alla serata dei Level 42.
Sul palco tutti i musicisti avevano gli in ear monitor wireless, sistemi Sennheiser G3, in più come supporto al batterista è stato montato un drum fill composto da un cabinet Audio Performance con un speaker da 15” per i bassi e come top un monitor ElectroVoice con un 12”, giusto per “muovere un po’ l’aria”.
Il palco visto dalla galleria destra del Blue Note
La microfonazione degli strumenti prevedeva per la batteria: Shure Beta 52 per la grancassa, il classico Shure SM 57 sul rullante, sui tre tom Electrovoice N/D468, i due timpani Sennheiser 421 e per gli overhead Neumann KM184. Sui due Fender Twin Reverb del chitarrista sono stati usati sempre dei SM57 e per tutte le voci Shure SM 58.
Il soundcheck era già stato eseguito il pomeriggio precedente e tutti i tecnici dei Level 42 erano quindi in una situazione di relax: a parte un breve line check quindi si sono divertiti a giocare con i loro laptop a “Call Of Duty” connesso in rete! Con grande divertimento abbiamo scoperto che ben quattro dei tecnici che si occupano dello spettacolo della storica band del bassista e cantante Mark King di nome fanno…“Mark”(!): il fonico FOH Mark Clements, il lighting designer Mark Pritchard, il tecnico Mark Graham e il fonico monitor Mark Jowitt.
Tre dei “Marks Brothers” nella postazione FOH
Il Blue Note offre a richiesta anche il servizio di registrazione multi traccia delle serate, in quei casi viene utilizzato una scheda RME HDSPe Madiface e come software di registrazione Digital Performer, che secondo Zoran tra tutti è il più affidabile e più leggero software sul mercato.
Zoran: “In studio uso ProTools, ma per le registrazioni dal vivo Digital Performer. Come software multi traccia è il programma più affidabile perchè non scrive subito la forma d’onda, ma lo fa solo dopo quando si ferma. Riesco a gestire 56 tracce con un dual core, Mac 2 Giga e sono al 20%, con ProTools non arrivo neanche a 30 tracce, strozzando il processore. In più ha il limite della lunghezza dei files, che secondo me è un grosso problema se devo registrare tutto un pomeriggio di musica live. Poi se vuoi registrare con ProTools devi uscire comunque con un mini furgone. Noi qui facciamo la stessa cosa con un portatile e una scheda RME. Non per niente Digital Performer viene utilizzato anche da artisti come Madonna, per la flessibilità e leggerezza del programma. Non chiedermi niente sull’editing perchè non lo so fare su DP, ma per le registrazioni dal vivo è veramente ottimo. Altro vantaggio in confronto a un software come Logic per esempio è che posso scegliere di usare la virgola fissa, perciò utilizzo 24bit e virgola fissa con il Digital Performer.”
Alle 21:00 in punto è cominciato il primo dei due set dei Level 42 e fin dalla partenza ci si è potuti rendere conto delle difficoltà acustiche che si creano al Blue Note quando i volumi sono piuttosto sostenuti. Diciamo che il tocco molto “British” del fonico inglese ha fatto sì che i suoni risultassero tutti molto in faccia, ma poco piacevoli. Duro sulle frequenze medio alte, in particolare la voce e il sax, e un po’ boomy e poco definito sulle basse. Il problema, come ci avevano spiegato Marco e Zoran, è di saper impiegare l’impianto nel modo giusto, ovvero usarlo come “sound reinforcement” nel vero senso della parola: cioè un supporto del suono che arriva dal palco, dai musicisti. Ecco perché è nelle situazioni più acustiche che si riesce ad apprezzare molto meglio il sound al Blue Note, con volumi più bassi che danno spazio alle dinamiche dei musicisti. Invece Mark Clements, fonico FOH è uno che “ci dà dentro abbastanza”. Onestamente imbarazzante un momento verso la fine del primo set dove si udiva perfettamente che qualcosa non andava e il fonico, dopo il gentile tentativo di Zoran di fargli capire tramite una visualizzazione sul touch screen dell’SD-8 che stava facendo saturare tutto il sistema, è uscito con la frase “non voglio neanche vedere quella roba”.
Girando per il locale l’ascolto inevitabilmente cambiava abbastanza in quanto ci sono delle zone molto sacrificate dalle caratteristiche architettoniche.
Registriamo comunque che per il publico è stata una bella serata, perché i Level 42 anche dopo trent’anni di carriera sanno ancora il fatto loro. Suonano veramente bene e dal loro vasto repertorio possono snocciolare una hit dopo l’altra. Impressionano come sempre le slappate furiose di Mark King, che nel batterista degli Incognito ha trovato il compagno perfetto di groove e ritmiche incalzanti. Sulle note di “Hot Water” tutto il Blue Note era in piedi ballando ed applaudendo la band.
Running in the family: Level 42 al Blue Note di Milano
Vorrei ringraziare tantissimo Marco Manna per la grande ospitalità e i tanti aneddoti interessanti e divertenti e anche Zoran Matejevic, un fonico che approccia il suo lavoro con molta passione. Zoran è un fiume in piena quando parla del settore audio e broadcasting e sicuramente torneremo da lui per lumi sulla sua “fissazione” in merito al tema “struttura di guadagno”, perché secondo lui i line array non esistono, perché i sommatori non servono a niente e perché preferisce gli amplificatori tradizionali AB anziché quelli in classe D.
info: www.bluenotemilano.com
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Guido Block
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