Ho conosciuto Andrea Pellegrini per la prima volta nel 2006 in un locale ad Empoli, durante una serata dei Four Tiles, la rock band capitanata da Cesareo, il chitarrista di Elio e Le Storie Tese. Vista la bella serata passata insieme, io sul palco e lui dietro al banco, ci augurammo di poter lavorare al più presto ancora insieme. Ma come spesso succede nel nostro ambiente, abbiamo avuto il piacere di rivederci solo 7 anni più tardi, a Marzo di quest’anno, in occasione del concerto di Gavin Harrison & 05Ric a Lugano e poi, subito dopo, al Musikmesse/Prolight&Sound a Francoforte. In tutte e due le occasioni vi è stato un’interessante scambio di informazioni ed opinioni ed abbiamo pensato che poteva essere interessante condividerlo con i lettori di ZioGiorgio Network tramite un’intervista.
Andrea “Pelle” Pellegrini è di Empoli, classe 1983 e come tanti fonici anche musicista. Ha intrapreso gli studi di pianoforte a 9 anni per poi passare allo studio dell’organo Hammond, che considera lo strumento a lui piu’ caro e consono. Ma grazie a qualche incidente di percorso la sua attenzione è stata spostata sul “suono”. Partiamo proprio da qui con la prima domanda…
ZioGiorgio: Cosa o chi ti ha fatto scattare la molla per passare dietro al banco mixer?
Andrea Pellegrini: il mio passare “dietro al banco” è avvenuto grazie ad un susseguirsi di persone che hanno influenzato il mio percorso nel corso degli anni, e di qualche evento. Il primo ma fondamentale seme fu gettato da Luigi Fiorentini, all’epoca mio insegnante di musica durante la scuola media, al quale sono eternamente grato. Fu il primo a farmi concentrare su un fattore che trascuravo: il suono dei dischi che ascoltavo; fino ad allora ero attratto dalle composizioni e dalle esecuzioni. Grazie a lui ho imparato ad ascoltare a 360°. Tra le centinaia di album che il prof. Fiorentini mi ha fatto conoscere c’era anche una cassetta copiata dove c’era scritto “Eat the Phikis – Elio e le Storie Tese”. Data la sua fondamentale importanza, la conservo ancora gelosamente.
Nel corso degli anni, suonando con le varie band mi divertivo a prendermi carico della parte “sonora”…tanti locali, tanti mixer, tanti impiantini, tanta guerra e divertimento. In aggiunta, sempre assieme a mio padre andavamo a vedere svariati concerti di grandi artisti internazionali: tutti accomunati da suoni micidiali.
Non posso non citare altre due persone alle quali sono grato: Mario Fabiani, colui che è stato non solo il primo a farmi entrare in studio ed a insegnarmi veramente moltissimo, ma anche colui che per primo mi ha dato le chiavi del proprio studio. Il mio mentore assoluto e punto di riferimento costante invece è Rodolfo “Foffo” Bianchi. E’ una enorme fortuna e un grande onore poter attingere dalla sua esperienza e godere dei suoi consigli.
ZioGiorgio: quanto e come influenza la tua preparazione a livello musicale l’approccio al mixing sia live che in studio?
Andrea Pellegrini: il mio retaggio musicale è il cardine assoluto del mio approccio al lavoro e lo influenza totalmente. Premetto che personalmente non sono solito fare distinzioni tra il live e lo studio su certi argomenti: è chiaro che tra i due frangenti cambiano le modalità, le tempistiche, la precisione degli interventi ed il modo nel quale si opera, ma il concetto di musicalità lo trovo super partes. Con musicalità intendo il collocare il suonato all’interno di un suono “corretto”, ovvero nello stile del genere proposto: questo influenza in base al genere affrontato l’uso di eq, comp e soprattutto gli ambienti, per non parlare del mix.
Riagganciandomi all’incipit della tua precedente domanda, non riesco a vedere la figura del fonico staccata dalla figura del musicista. Per quello che riguarda la mia esperienza, il fonico è un musicista a tutti gli effetti: deve capire in primis il genere eseguito e quindi operare di conseguenza con i propri ferri del mestiere, seguendo ed enfatizzando il percorso musicale di un’esibizione. In piu’ deve riuscire a “leggere” cosa il musicista sta facendo, specie in situazione di live dove tutto è in tempo reale.
ZioGiorgio: sei un pianista/hammondista/tastierista, ma mi hai detto durante una recente chiacchierata, che sei molto affascinato dalla batteria come strumento?
Andrea Pellegrini: affascinato è piuttosto riduttivo. Ne sono assolutamente rapito, sia dallo strumento in sè che dal “batterismo”. Ero e sono tutt’ora un grande fan di Elio e le Storie Tese. Senza dubbio l’aver visto suonare Christian Meyer tantissime volte dal vivo, da vicino, in un’eta’ compresa tra i 15 e i 20 anni ha avuto un peso veramente considerevole su quella che poi si è rivelata una passione vera e propria. Fu proprio lui a darmi i primi consigli su chi e cosa ascoltare, e dopo la prima volta che abbiamo lavorato assieme (una serata del Trio Bobo nella mia città, con un 22enne molto felice al mixer) è stato il primo “personaggio batteristico” a darmi fiducia ed a motivarmi.
ZioGiorgio: La batteria è sicuramente uno dei strumenti più difficili e complessi da catturare e amplificare, sia in studio che dal vivo, è forse proprio per quello che ti intriga così tanto?
Andrea Pellegrini: sarà che il ritmo è la cosa che più mi attira, sarà che è uno strumento fisico cosi’ come lo è l’Hammond, sarà che da piccolo ho ascoltato troppe volte Led Zeppelin 2, non te lo so dire con certezza. So dirti pero’ che dal momento che ho iniziato ad avere dei microfoni in mano ed avere una batteria davanti, questa passione si è innalzata esponenzialmente. Da quel momento ho approfondito parecchio, ho parlato con batteristi, ho ascoltato dischi leggendo i credits e visto tanti video per cercare di capire come funziona, come si suona, quali sono gli stili e le tecniche dei vari batteristi, come i fonici microfonano le batterie dei grandi e così via.
Mi piace l’idea di uno strumento che, come il pianoforte o l’ Hammond, copre un vastissimo range di frequenze, ma che a differenza del piano è composto da elementi diversi: tamburi di varie dimensioni, piatti, tipi di pelli e di bacchette e via dicendo. La conseguenza naturale è quella di una gamma di suoni e colori incredibile. Quella che chiamo la “staffetta delle frequenze”, ovvero il far coesistere in sede di mix tutti gli elementi di un set di batteria in maniera ben distinta, è sicuramente una cosa che mi piace di questo strumento.
Essendo cosi’ personalizzabile, a differenza del pianoforte, diventa per me molto interessante analizzare il batterista e cercare di capire come lui intende il suo strumento. Esempio: quando credi di essere preparato sulla questione batteria perchè ci hai perso tempo ed hai acquisito le tue certezze ti arriva un Jojo Mayer che, a batteria montata sul palco, in un minuto ti smantella tutto e devi tornare punto a capo. A quel punto devi prima capire come ragiona il batterista per poi passare alla batteria in se. Molto divertente e stimolante.
Questa mia personale ricerca ovviamente mi ha influenzato assai, la batteria è il mio punto di riferimento costante, il cardine dal quale costruisco in seguito il mio mix è la cosa che piu’ mi è familiare, e che comunque sta alla base della musica occidentale contemporanea. E’ senza dubbio uno strumento di difficile ripresa, e quello come hai detto è una cosa che mi intriga non poco.
ZioGiorgio: quali sono i 10 comandamenti di “Pelle” per una buona riuscita di una session di registrazione di batteria?
Andrea Pellegrini: 10 sono forse un po’ tanti, te ne dico 6:
-la batteria si registra in uno studio vero e proprio. È lo strumento che piu’ di tutti necessita di un ambiente adatto e acusticamente corretto. Mentre una voce, una chitarra, un basso si possono fare in cameretta, la batteria no. Specie per chi come me cerca un suono “grosso”, un po’ vintage per certi versi, l’ambiente è veramente tutto.
-un buon batterista, dotato di un buon “bilanciamento interno”. Ovvero che abbia controllo totale delle dinamiche (soprattutto il bilanciamento cassa, rullo e Hh), e che abbia un controllo totale dei singoli elementi.
-una corretta accordatura del kit. Questa è la parte sicuramente piu’ delicata del processo, nonché il vero punto di svolta del suono. Qui, sempre con la cooperazione del batterista, cerco di trovare il timbro delle pelli adatto al brano ed allo stesso tempo cerco di annullare il piu’ possibile il fenomeno delle risonanze simpatiche al fine di usare meno eq e gates. Il tutto senza andare ad intaccare il feeling del batterista con il suo strumento ovviamente. Talvolta il compromesso è possibile (spesso), talvolta no (non troppo spesso per fortuna) , talvolta è il batterista che pensa a tutto (rarissimo).
Cerco di curare assieme al batterista l’accordatura anche perchè non mi piace effettuare sordinature sulle pelli sia battenti che risonanti, al massimo una correzione di moongel e basta. Uso le stoppature “invasive” a suon di gaffa e carta igenica solo per fini prettamente sonori, stilistici.
-la scelta dei microfoni adatti. Sono mille e piu’ i microfoni di eccellente fattura, ma mi è importante capire qual è il piu’ adatto al mio fine sonoro. Ho avuto la fortuna e la possibilità di provare un po’ tutto su tutto e di appuntarmi le caratteristiche che mi piacciono o meno, in questo modo, vedendo ed ascoltando il batterista che ho di fronte, cerco di capire cosa puo’ fare al caso nostro tra i microfoni che ho a disposizione nello studio dove sto lavorando. Spesso utilizzo microfoni non propriamente “batteristici”, e sono un grande amante dei microfoni a nastro per gli ambienti e gli over, ma come ho detto tutto cambia di volta in volta.
-il posizionamento dei mic, sia ambientali che close. Una volta scelto il microfono cerco di fare attenzione al posizionamento. Distanza ed inclinazione diventano fondamentali in quanto questi due fattori mi servono come “prima equalizzazione”. Dato che la tecnica del “close miking” è alla fine un’illusione (credo che nessuno ascolti la cassa da dentro, o con l’orecchio appoggiato sul rullo), cerco di usarla fin da subito per raggiungere il colore del suono che cerco. Perdo sicuramente qualche minuto in piu’ a cercare la posizione che mi genera il suono che cerco, ma in seguito equalizzo di meno e limito i danni.
-la correlazione di fase. Ecco, questa forse è la mia unica “ossessione” da fonico. Arrivati a questo punto, la mia attitudine un po’ parecchio rock n roll/plug and play svanisce. Non passo mai alla pressione del tasto rec se non sono certo della correlazione delle fasi dei singoli microfoni. Credo che dentro questo punto ci sia la vera discriminante per un bel suono di batteria o meno. Il punch, la ricchezza di armoniche, la presenza del rullante, la distinzione degli elementi, il posizionamento all’interno del panorama stereo e mille altri dettagli, passano a mio avviso sotto questa annosa questione. Dico annosa perchè, per quello che vedo e sento, pare non essere piu’ un aspetto sine qua non della registrazione e del mix. Mi riferisco a certi prodotti musicali disponibili sul mercato dove si ha una percezione di cassa e rullante solo perchè sono stati triggerati e dove tutto il resto del kit presenta evidenti problemi di fase. Che siano problemi avuti in sede di rec o di mix non lo posso sapere, so che se ascolto un brano in radio dove la batteria ha difetti del genere mi incupisco.
Mi riallaccio al primo “comandamento”: un ambiente acusticamente corretto permette di non avere rifrazioni o stazionarie, nemici giurati della fase.
ZioGiorgio: dal vivo invece cambiano un po’ i giochi (e anche i comandamenti)…
Andrea Pellegrini: sì e no. Anche qui, come prima, penso che la differenza sia la tempistica e la precisione del risultato, ma non il modus operandi. Qui l’ambiente è casuale, è vero; ma un buon batterista con una batteria ben accordata, con i microfoni messi bene e con un occhio di riguardo, seppur in maniera più sommaria, alla fase ti fanno fare la differenza. Mi è successo piu’ volte di dover lavorare in club disposti malissimo, dove devi fare il concerto con 24 canali rigorosamente mono per far ascoltare tutti. Se sei con la batteria difettata in quanto a fasi, magari 12 canali di batteria su 24 totali…addio!
ZioGiorgio: per la ripresa e amplificazione della batteria esistono veramente tanti microfoni sul mercato. Ipotizziamo che ti chiamino al volo per fare da fonico in una serata rock in piazza e ti chiedano di portare i microfoni per la batteria. Cosa metti nella valigetta?
Andrea Pellegrini: la mia 24 ore è una valigetta contentente il kit Audix, con tutti i microfoni della serie D. Ho deciso di comprarmeli perchè li trovo ottimi e soprattutto molto versatili sui vari generi. In piu’ sono ben costruiti, solidi e resistenti. Mi piace moltissimo il D6 per la cassa e gli ADX-51 (condensatori a diaframma stretto) che spesso uso anche su altri strumenti. Inoltre nell’altra mia valigetta assieme ai vari adattatori, cavi e cavetti, ho sempre una manciata di 57, un Sennheiser 441, 2 Akg 414 ed infine un Ae2500 Audio Technica., microfono particolare ma molto bello che talvolta uso in cassa talvolta sul rullante.
ZioGiorgio: come hai conosciuto Gavin Harrison?
Andrea Pellegrini: nel 2010 ho conosciuto Stefano Carrara, grande batterista ed eccellente didatta. Aveva organizzato una clinic di Gavin a Pisa e avendo capito che ero un suo grande fan, mi ha offerto di fare da fonico per l’evento. Arrivati al giorno della clinic, come prima persona incontro Sergio Fanton, che mi mi ha introdotto a Gavin. Check, clinic ma soprattutto la cena sono andati nel migliore dei modi: una sensazione di feeling immediato tra tutte le parti in causa e gran divertimento durante la cena. Fu una serata rimarchevole per me in quanto a soddisfazione personale. Prima di salutarci, sia Sergio che Gavin prendono i miei contatti, ma con la certezza di aver terminato li la cosa. Con Sergio invece ci siamo sentiti nel frattempo ed abbiamo fatto altre belle cose assieme, mentre nel Gennaio 2013 ricevo una mail di Gavin dove esordiva col dirmi se mi ricordavo della serata fatta assieme nel 2010 per poi proseguire chiedendomi se ero interessato a seguire il primo tour del suo progetto GH05. Continuo a non crederci, ma fu cosi. Ed ecco come è nata la cosa. Approfitto per ringraziare pubblicamente Stefano Carrara e Sergio Fanton perchè è grazie alla loro “incoscienza” che ho potuto fare questa grande esperienza.
ZioGiorgio: Gavin mi sembra un vero maniaco del suono.
Andrea Pellegrini: guarda, maniaco è la parola sbagliata. Gavin è sicuramente il piu’ grande professionista che abbia mai incontrato sotto tutti i punti di vista e per questo motivo non lascia niente al caso. Cura qualsiasi cosa che riguarda la sua produzione. Per capirsi spazia dalla progettazione del suo rullante al rec/mix dei suoi dischi alla presa e montaggio dei suoi video. Ed è manager di se stesso. E’ uno che ha impiegato anni (e sta continuando a farlo) nello sperimentare soluzioni, il suo suono è la somma tra il suo retaggio musicale e la ricerca che ha fatto sullo strumento e sulla sua tecnica durante un percorso di 35 anni. Molte persone durante lo scorso tour mi hanno chiesto quanto ci mette ad accordare il kit, la mia risposta è sempre una: pochissimo. Non ci sono sciamani nel mezzo nè formule magiche, solo automatismi frutto di un palese percorso.
ZioGiorgio: Com’è lavorare con Gavin?
Andrea Pellegrini: bella domanda. La risposta è…facilissimo. La sorgente è talmente perfetta che ad un fonico rimane solo da correggere e valorizzare alcuni fattori. La cosa che mi ha stupito, sinceramente, è che non ha mai interferito nè mai si è slanciato in questioni inerenti al mio lavoro di fonico. In più è un tipo assolutamente divertente. Un distillato di umorismo inglese, ed un pozzo infinito di aneddotistica.
Il progetto GH05 ha 3 album all’attivo, ma il tour che abbiamo fatto a marzo è stato il primo per tutti, era considerato un tour di prova. Un test per loro in primis, in quanto la musica proposta è di difficile esecuzione (ma non di difficile ascolto, anzi!), un test per quello che riguarda la risposta sul pubblico, un test per quello che riguarda la resa sonora (club grandi e piccoli). Insomma, c’erano diverse cose da valutare. Per fortuna tutto è andato per il meglio, probabilmente anche sopra le aspettative, ed adesso siamo alle porte di una nuova tourneè.
Mi è obbligo spendere due parole su 05Ric ed i ragazzi della band. Gli album sono composti, eseguiti e registrati/missati da Gavin e Ric. Ric è, oltre che ad un artista e polistrumentista assai talentuoso, colui dal quale è partito il progetto. In aggiunta è una persona che umanamente mi ha assolutamente colpito ed impressionato, mi sono legato molto a Ric. Dal vivo il progetto GH05, con Gavin alla batteria e Ric alla voce e chitarra, gode dell’ausilio di due bravissimi session man: Tiago Coimbra al basso e Justin Dwyer alla chitarra. Musicisti di grande caratura e persone meravigliose con le quali ho legato fin dal primo minuto. Ripeto, una situazione di agio assoluto e di stima reciproca fra tutti. Rara cosa……
ZioGiorgio: che set up di microfoni utilizzi di solito dal vivo quando c’è da amplificare la sua batteria?
Andrea Pellegrini: anche qui ti confermo quello che ti ho detto prima. Gavin via mail mi ha mandato una lista di mic che lui usa ma sottolineando il fatto che era disposto ad usare mic da me proposti. Nella sua lista c’erano tutti i microfoni che avrei scelto e che sono: Audix D6 in cassa (istallato all’interno col sistema Kelly Shu), Audix I5 Sn Top, Sm57 Sn Bottom, 5 421 sui toms, 2 Audix Adx51 come spot per Hh e Ride, 2 414 come over.
Grazie all’amico e collega Giacomo Plotegher ho scoperto il Telefunken M81, strepitoso sul rullante. Sia io che Gavin ci siamo innamorati di questo splendido mic ed in questa sessione di concerti in arrivo lo useremo al posto dell’ I5 sul Top.
ZioGiorgio: c’è qualcosa in particolare che hai potuto imparare da lui?
Andrea Pellegrini: ho imparato moltissimo, ma veramente molto. Ma non tanto le varie tecnicherie, per quello basta vedere i suoi video, ma è stata per me in primis una lezione di professionismo a tutto tondo. Questa esperienza mi ha influenzato radicalmente sia come tecnico ma soprattutto a livello mentale, di approccio al lavoro. Come seconda cosa ho avuto la fortuna di poter parlare e valutare il mio operato direttamente con uno che ha goduto dei servigi dei migliori tecnici internazionali. E’ riuscito ad inquadrare il mio modo di lavorare, a consigliarmi ascolti da fare consoni al mio modo di concepire il suono ed in particolare la batteria.
ZioGiorgio: da vero fonico free lance spesso ti trovi a lavorare con banchi e impianti diversi. Mi hai raccontato al concerto a Lugano che anche nelle date europee con 05Ric ti arrangi con quello che trovi sul posto. Puoi dirci di più in merito?
Andrea Pellegrini: Vero. Fin da subito Gavin mi disse che sarebbe stato un club-tour con PA e banco sul posto. La cosa di per sè non mi spaventa, anzi, semmai mi da quel “che” in più. Nella scorsa sessione di tour, siamo passati da club incredibili con stumentazioni da favola a club da 300 persone col “mixerino”, due cosine e via andare. Ti dico, quando la band è a quel livello musicale e tecnico, l’80% del lavoro è fatto. Considera che sulla batteria non ho mai usato gates e compressioni (so che 5 toms senza gates puo’ sembrare fantascienza…), le chitarre dirette, un compressore sul basso che interveniva di pochi dB solo sulle parti di slap ed un compressore sulla voce e anche questo con pochi dB di intervento. Due riverberi ed un delay. Il risultato è che nei posti incredibili godevo della bellezza dei banchi analogici Midas ed avevo montagne di outboard inutilizzato, nei posti piccoli e con l’indispensabile avevo tutto il necessario per fare lo stesso identico lavoro. Una delle date piu’ entusiasmanti per tutti fu senza dubbio una data in un piccolo jazz club in Germania: mixer 24 canali, tutto mono e pochissimo outboard. Il mio ruolo a quel punto sta nel tarare correttamente il PA, adattare i suoni dei canali, e gestire il mix al fine che sia il piu’ musicale possibile. Fine della questione.
ZioGiorgio: come fonico, hai una tua filosofia di suono?
Andrea Pellegrini: ti prego, non mi fare fare il filosofo: ho solo 30 anni! Ti dico invece che sto iniziando a capire il tipo suono che mi piace. Ti ripeto, il mio approccio al lavoro è che faccio quello che voglio sentire e spesso mi rifaccio alla musica ed ai suoni che ho ascoltato nei dischi. Riassumo cosi la mia concezione di suono: mi piace la dinamica piu’ di ogni altra cosa, cerco al massimo delle mie possibilità di lavorare correttamente sulle frequenze dei singoli canali e con le stesse forze di seguire il mix nella maniera piu’ musicale possibile. Come ultima cosa, cerco di fare la massima attenzione agli ambienti utilizzati per creare il mondo sonoro appropriato al brano in questione.
Ti dico che mi piace il compressore, ma come strumento sonoro/creativo. Non lo uso mai a prescindere, non credo al compressore come strumento utile “a dare la botta”: questa frase (che sento spesso) mi fa lo stesso effetto che potrebbe farmi uno che mi dice “faccio la dieta mangiando la nutella”. Quando ho sottomano bravi musicisti, lascio a loro il gioco delle dinamiche e comprimo il minimo indispensabile.
ZioGiorgio: analog o digital?
Andrea Pellegrini: uh! Ho sempre sognato di rispondere a questa domanda ! [ride ndr]
Scherzi a parte, non credo di essere il primo a dire che ognuno dei due ha dei punti di forza. Personalmente la scelta, soprattutto nelle situazioni come quelle citate sopra (ovvero ogni sera un mixer diverso) o sulla data one-shot, ricade sempre sulla situazione analogica. E’ il mondo che conosco meglio e mi permette di arrivare in minor tempo a fare qualsiasi cosa stia cercando di ottenere. Come ho detto prima, non sono solito usare una grande quantita’ di outboard, insomma, in analogico gioco in casa. Poi sinceramente vorrei concentrarmi sul suono, non ho assolutamente voglia e tempo di impararmi a memoria il funzionamento di tutte le macchine digitali sul mercato. Conosco quelle con le quali lavoro piu’ spesso. Facevi riferimento al concerto di Lugano dove c’era mixer digitale nuovo. Ecco, nel tempo che l’assistente me lo spiegava, avrei fatto tutto il check in situazione analogica…
Apprezzo i benefici del digitale all’interno delle produzioni stabili, ma devo spendere una parola a riguardo. Il mio utilizzo della macchina digitale all’interno di una produzione è identico al mio utilizzo della macchina analogica, uso le scene solamente al fine di iniziare il brano con i livelli piu’ o meno corretti, con gli effetti modificati (e le mandate diverse), e con l’automazione dei mute. Guadagni, eq, compressioni e gates sono rigorosamente in safe.
In linea di massima il problema piu’ grosso che riscontro sui mixer digitali è principalmente la questione della somma LR. Su certi mixer in particolare, il carico della somma è la discriminante tra un suono bello o brutto. In caso di PA sovradimensionato la questione è facilmente gestibile altrimenti, almeno per me, inizia a diventare difficile trovare un risultato “compatto”, senza quell’effetto di sgretolamento del suono. In certi mixer trovo che oltre la questione somma, ci sia il fattore filtri. Talvolta mi ritrovo con delle curve di eq che mi mandano in paranoia e che mai effettuo in situazione analogica. Con Midas e la serie SD di DiGiCo mi trovo molto bene, con tutto il resto mi accorgo che devo sempre scendere a compromessi ed operare in un modo per me innaturale al fine di ottenere quello che voglio sentire.
ZioGiorgio: prossimi progetti e/o impegni?
Andrea Pellegrini: nell’immediato, come ti ho detto, sono alle porte di questo nuovo tour con GH05, e colgo l’occasione per invitarvi durante le 4 date italiane:
22/11 Lugagnano – Il Giardino
23/11 Roma – CrossXRoads
24/11 Milano – Blue Note
26/11 Pisa (San Giovanni alla Vena) – Blitz Club
A seguire sarò presente all’interno dell’ Umbria Jazz Winter, per poi effettuare un lavoro in Inghilterra verso metà gennaio. Si prospetta un buon 2014, speriamo bene e dita incrociate. In più, come sempre, assieme all’amico e collega Tommaso Bianchi siamo sempre impegnati tra mix mastering e produzioni all’interno del nostro White Sound Studio.
ZioGiorgio: grazie Pelle! ci vediamo al Blue Note!
Andrea Pellegrini: grazie a te e complimenti a tutto il Network ZioGiorgio, per l’alto livello di informazione che da sempre vi distingue e la grande passione che mettete nel vostro lavoro!
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