Tra i musicisti italiani è tra i più apprezzati sia nella nostra penisola che all’estero. E’ Paolo Fresu, tra i musicisti che con il suo flicorno e la sua tromba hanno saputo interpretare nel modo più vasto e pieno il jazz nel nostro paese.
La sua fama ormai lo precede, e non avrebbe bisogno di molte presentazioni. Potremmo dire che è docente e responsabile di diverse importanti realtà didattiche nazionali e internazionali, che ha suonato in ogni continente e con i nomi più importanti della musica afroamericana degli ultimi 30 anni, che ha registrato oltre trecentocinquanta dischi di cui oltre ottanta a proprio nome o in leadership ed altri con collaborazioni internazionali, che nel 2010 ha aperto la sua etichetta discografica Tŭk Music o che dirige il Festival ‘Time in jazz’ di Berchidda, è direttore artistico e docente dei seminari jazz di Nuoro ed ha diretto il festival internazionale di Bergamo, solo per farne un breve ritratto.
Il resto lasciamo che siano le sue stesse parole a raccontarlo.
ZioMusic.it: Ciao Paolo, ti faccio subito una domanda a bruciapelo. Molti considerano il jazz un genere ‘tornato di moda’ in questi ultimi anni. Per alcuni jazzisti però essere definiti mainstream è interpretato quasi come una diminutio. Come vedi il jazz italiano oggi e all’interno del contesto internazionale?
Paolo Fresu: Essere definiti mainstream può essere interpretato come un diminutivo perché il jazz è per antonomasia una musica in perenne movimento. E qui mi allaccio alla domanda sul jazz italiano rispondendo che questo è in buona salute perché non ci sono solo molti musicisti (di cui parecchi giovani e giovanissimi) ma ci sono artisti che hanno voglia di cercare e di trovare. Credo che nel mondo non ci sia una proposta così variegata come quella italiana…
ZioMusic.it: Paolo Fresu è un nome che nel jazz invece, rappresentando al tempo stesso talento e successo, è anche sinonimo di sperimentazione. Ti ci ritrovi? Quanto conservatorismo esiste ancora nel jazz, e tu come hai coltivato questa attitudine musicale aperta?
Paolo Fresu: Il nostro, si sa, è un Paese conservatore e questo si vede anche nel jazz. Ma bisogna stare attenti a non fare di tutta l’erba un fascio per i motivi espressi poc’anzi. L’Italia è un Paese lungo e non si può fermare con una unica fotografia. Questo per l’arte è un bene. La diversità del nostro Paese fa sì che i pensieri siano molti e dunque anche i modi di vedere le cose.
Ciò che accade nel Sud è diverso da ciò che accade nel Nord. C’è un popolo di conservatori ma ci sono nel medesimo tempo anche molti che si guardano attorno e che hanno voglia di rischiare.
ZioMusic.it: Il caso forse più famoso nel jazz di artista che ha stravolto schemi e superato barriere, come il rock, che sembravano invalicabili è Miles Davis. Un altro innovatore come Coltrane ammise che fu Miles Davis a fargli desiderare di andare verso territori inesplorati della sua musica.
E’ un artista con cui i musicisti hanno un approccio di amore/odio. C’è stato per te un momento che hai sentito come svolta una musicale radicale alla Miles Davis?
Paolo Fresu: La svolta radicale è stata quando, a casa da solo e molto giovane, ho emesso un suono che finalmente mi ha riempito dentro. L’impressione è stata quella di una finestra che si è aperta. Da quel momento non ci sono state svolte radicali se non un inanellarsi di pensieri, incontri, situazioni, scambi.
Ma la svolta primaria è stata quella di non accettare, nel lontano 1981, un posto sicuro alla SIP per buttarmi a capofitto nel jazz senza paracadute…
ZioMusic.it: Il tuo rapporto con l’elettronica ed il mondo dell’effettistica sembra molto naturale. La tromba ed il flicorno non sono certo strumenti con una lunga tradizione di questo tipo. Quali sono stati i tuoi ispiratori e come ti sei avvicinato a queste sonorità nuove?
Paolo Fresu: Ho iniziato a lavorare con l’elettronica perché ero stanco di avere sul palco un brutto suono che non mi rappresentava e non mi ispirava. Usandole ho poi capito che queste potevano fare molte altre cose e ho iniziato a sentire musicisti come Mask Isham e Jon Hassell dai quali ho appreso molte cose.
Altre le ho sviluppate da solo facendo e, a volte, lasciandomi trasportare dalle stesse macchine per poter capire ed evitare che loro conducano il gioco.
Per questo non ho mai lavorato con il MIDI ma sempre con gli effetti in cascata. Perché questo mi offre la possibilità di miscelare molti più suoni e di usare le macchine elettroniche come un vero strumento creativo e di ricerca.
ZioMusic.it: Quali effetti usi più di frequente e quali ti piacerebbe usare per cercare qualcosa di nuovo?
Paolo Fresu: Ora uso due TC Electronics ma a volte anche una vecchia macchina analogica della Digitech. Sono principalmente una unità di riverbero e un multieffetto per chitarra che crea harmonizer, delay, distorsioni ed altro.
Sto seriamente pensando di passare al computer con una scheda audio e un programma apposito ma non riesco a sciogliere i dubbi sul principio creativo e anche sulla qualità del suono.
ZioMusic.it: Nella tua città natale, Berchidda in Sardegna, hai creato e dirigi tuttora uno dei festival jazz più famosi ed apprezzati in Italia ed in Europa. Come scegli i temi e gli artisti? Si riesce a coniugare il favore del grande pubblico di oggi con il desiderio di proporre artisti che osano maggiormente?
Paolo Fresu: Berchidda ha uno specifico tema ogni anno. Intorno a questo si sviluppa la partitura artistica del festival e tutti i progetti debbono rientrare nella stessa.
Così Time in Jazz diviene una sorta di viaggio da seguire dal primo giorno fino all’ultimo. Non ha senso venire per sentire un concerto o il concerto del musicista famoso sul palco grande perché il festival è impostato in un’altra maniera e da noi non ci sono le “Têtes d’affiche”.
Proviamo a coniugare il favore del grande pubblico con le proposte coraggiose inserendo queste in contesti ambientali e umani speciali.
Se il contenitore è interessante lo sarà anche la musica purché questa sia interessante di suo.
Tuttavia se la proposta è buona ma il contesto è sbagliato si rischia di fare un buco nell’acqua allontanando così il pubblico.
ZioMusic.it: Sempre a Berchidda, poco più che bambino, hai iniziato ad imparare lo strumento nella banda locale. Molti compositori come Giuseppe Verdi o Luciano Berio hanno esaltato e sviluppato nella musica colta il repertorio folk e bandistico. Luciano Berio volle persino che il suo corteo funebre fosse accompagnato da una banda.
Gli ottoni sono la parte più importante del corpo di una banda. Come ti sei posto negli anni rispetto a questo tipo di musica che ora, con il ritorno in auge della musica folk, sembra visto con interesse da molti musicisti?
Paolo Fresu: Ovviamente devo molto alla Banda. Non ci fosse stata la Banda a Berchidda non sarei diventato musicista.
La Banda è una straordinaria scuola per apprendere la musica e per vivere e lo era ancora di più quarant’anni fa.
In seno al festival ci sono molti progetti che coinvolgono la Banda ed è giusto che sia così. Progetti speciali pensati apposta o semplicemente progetti laddove la Banda si inserisce nel viaggio festivaliero.
Molti anni fa commissionammo una opera al sassofonista Eugenio Colombo dal titolo “Sa ‘Ena sonora” con un trio di jazz e la Banda e fu una esperienza esaltante per tutti.
Oggi è nata una Street Band che si sta dando molto da fare e che infonde linfa nuova negli elementi della Banda e nella cultura musicale del Paese.
Non dimentico però che il primo concerto del tour dei mie 50 anni è partito proprio da Berchidda con il mio Quintetto storico e la Banda Bernardo De Muro di Berchidda.
Del resto non poteva essere diversamente…
ZioMusic.it: Noi di ZioMusic.it abbiamo negli anni cercato di stimolare una discussione seria e anche severa sulle difficoltà della musica in Italia causate anche da caste, burocrazia ed una politica fiscale non certo a favore dell’arte.
Sempre parlando attraverso le parole di Berio: “I bambini, i ragazzi, i giovani sono un materiale aperto, flessibile, vivace, affascinante, il problema sono i vecchi, i cattivi direttori artistici, i burocrati romani, quelli che non hanno mai avuto un’educazione musicale e che non capiscono una cosa come la musica, che non si può toccare, vendere, comprare, appendere al muro”.
Qual’è la tua opinione su questo tema e cosa faresti per sbloccare il settore?
Paolo Fresu: Smetterei di lamentarci e di leccarci le ferite e proverei a fare. Semplicemente fare facendo ovviamente bene e con coscienza. Nel piccolo del quotidiano ma anche bussando alle porte dei privati e della politica.
Tutto inizia dal mondo dell’infanzia. Per questo assieme a mia moglie Sonia abbiamo creato il progetto Nidi di Note dedicato alla musica nelle scuole dell’infanzia. Da genitori e da musicisti ci siamo resi conto che la musica è lasciata al caso quando invece dovrebbe essere uno dei linguaggi capaci di formare le persone e di portarle per mano verso il concetto del bello.
Ovvio che è necessario un lavoro di squadra e che tutti, realtà private e pubbliche, possano contribuire non solo con economie ma cambiando il modo di pensare l’arte.
In fondo l’Italia “è” il Paese dell’arte. O almeno lo era…
ZioMusic.it: Per la tua etichetta Tǔk Music nel 2014 sono usciti due tuoi dischi “¡30!” e la soundtrack “Vinodentro”. E’ inevitabile chiederti a cosa ti stai interessando ora e su cosa stai lavorando per il prossimo futuro.
Paolo Fresu: Intanto l’undici novembre è uscito, sempre per la mia etichetta, il cd della “Brass Bang” con Gianluca Petrella, Steve Bernstein e Marcus Rojas.
In primavera invece uscirà il nuovo lavoro per la ECM in duo con Daniele di Bonaventura parallelamente a un film di Fabrizio Ferraro su quella seduta di registrazione; infine andremo in studio a Parigi con David Linx e Diederik Wissels a fine novembre per registrate il seguito di Heartland di quasi quindici anni fa.
Proprio ieri (oggi sono a Koln e domani a Saragozza) è stato presentato a Roma il nuovo film sulla Grande Guerra di Ermanno Olmi per il quale ho fatto le musiche e a breve uscirà un altro film con le mie musiche prodotto da Roberto Minini Merot con Stefania Rocca dal titolo “Calcolo Infinitesimale”. Ovviamente inizierò a preparare la ventottesima edizione di Time in Jazz che, come sempre, si svolgerà nel mese di agosto del prossimo anno e stiamo mettendo anche in cantiere quattro nuovi lavori discografici di talenti italiani per la Tǔk Music.
Insomma, non ci si annoia…
Luca “Luker” Rossi
Redazione ZioMusic.it
[…] musicisti, a partire da Paolo Fresu, direttore artistico, 100 concerti, 20 postazioni e 12 ore ininterrotte di note. Sarà davvero […]