Finisce l’era del CD, Sony chiude l’ultima fabbrica di Compact Disc

Per molti il Compact Disc è stato il vaso di Pandora della musica. Presentato ai discografici come un dono degli dei che avrebbe abbattuto i costi ed aumentato i profitti a livelli mai raggiunti prima, venduto al mondo come una rivoluzione tecnologica che avrebbe regalato un’esperienza musicale prima irraggiungibile, leggero, trendy, portatile e resistente, luccicante ed ammaliante nella sua imperturbabile ed algida promessa di durare per sempre, ha aperto l’era della musica digitale disponibile a tutti che ci ha portati in un mondo completamente diverso. Ora la musica è liquida, i dischi non si vendono più ed il music business si sta reinventando guardando nuovamente alle origini.

Ma farei un passo indietro, perchè nel 1982, quando dalla joint-venture di Philips e Sony uscì il primo CD commerciale con registrata “La Sinfonia delle Alpi” di Richard Strauss, nessuno pensava di aver fatto cadere la prima tessera del domino. L’euforia era massima, le speranze ottime, la qualità della musica che scaturiva da quel piattino di policarbonato da 12 centimetri superba. Fu quindi stampato il primo disco pop, “The Visitors” degli ABBA, anche se il primo ad essere realmente venduto fu “52nd Street” di Billy Joel. Il più grande stabilimento per la produzione di dischi degli Stati Uniti, a Terre Haute (Indiana), venne riconvertito nel 1984 dai vinili ai Compact Disc, pronto a stampare oltre 11 miliardi di copie in 33 anni, partendo proprio da quel “Born In The USA” di Bruce Springsteen che esprimeva la voglia di cambiamento del tempo.

Le parole del Boss, dopo un decennio di lotte, registrate su quel nuovo supporto rappresentavano la fiducia nella tecnologia, nel progresso, in un futuro dal design lucido e sensualmente platinato. “Penso che ciò che sta succedendo ora è che la gente ha voglia di dimenticare. C’è stato il Vietnam, c’è stato il Watergate, c’è stato l’Iran — siamo stati sconfitti, ci hanno fatto pressione e per finire siamo stati umiliati. Penso che la gente abbia bisogno di provare sentimenti positivi,” diceva Springsteen subito dopo l’uscita del suo album di maggior successo.
Ed arrivarono gli Anni ’90, la musica cambiava pelle e poi anima, ma la discografia non era mai stata così potente ed in salute, esaltata ed ubriacata dai profitti di un Compact Disc che costava meno di 80 centesimi produrre e veniva venduto, con una politica di prezzi sempre più alti, a 25 volte tanto.
Ma il vaso era stato scoperchiato. Era solo questione di tempo, una volta digitalizzata la musica e con i CD nelle mani di tutti, la tecnologia tanto adorata e galoppante fece il resto. A porre fine al sogno arrivarono prima i masterizzatori, poi internet e a breve gli Mp3, Napster, l’iPod, iTunes e infine lo streaming. I discografici, ancora presi dalla sbornia, pensarono che il CD avrebbe vinto su tutto, “la qualità di questi ‘file’ è troppo bassa“, e credettero come Pandora che bastasse richiudere il vaso. Ma tutto era già cambiato.

33 anni e miliardi di Compact Disc dopo, Sony cede ora ad Apple, a Spotify ed Amazon, e decide di chiudere la sua produzione di CD. Rimarranno solo pochi reparti dedicati ai Blu-Ray e DVD, soprattutto per il mondo dei videogiochi, ma lo stabilimento di Terre Haute, una volta instancabile fucina dell’industria discografica, ora resterà quasi deserto. Centinaia di persone hanno già lasciato gli enormi capannoni e le macchine si fermano, rappresentazione plastica della fine di un’era, un sogno argentato in cui la musica si è specchiata forse troppo a lungo e, come Narciso, vi è rimasta ipnotizzata senza saper guardare oltre.

“Pandora” di Arthur Rackham

Dopo aver liberato i mali del mondo, Pandora riaprì però nuovamente il vaso donatole da Zeus e da questo ne uscì infine la speranza. E come per il mito anche il nostro amato Compact Disc, che tra qualche anno andrà a far compagnia alle musicassette negli scatoloni in soffitta, portava già dentro di sé il seme di un nuovo inizio. La musica digitale ha sicuramente portato un grande e doloroso mutamento, ma ora possiamo dire di essere all’inizio di qualcosa di nuovo, un mondo in cui la musica non è mai stata così presente e disponibile per tutti e, forse, anche più libera.

 

Luca “Luker” Rossi
Redazione ZioMusic.it

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