Rob Griffin, che abbiamo potuto incontrare al Musikmesse di Francoforte presso lo stand Schertler, è una delle leggende viventi dal mondo dell’audio in studio. Ingegnere del suono autodidatta, chitarrista prima rock e poi acustico e folk di nascita ed amante della sperimentazione e delle nuove tecnologie, ha vinto numerosi Grammy per le sue registrazioni con artisti come Herbie Hancock, Wayne Shorter, Michael Hedges, Chick Corea ed altri ancora.
La sua vita è un racconto straordinario che non potevamo non fermare sulla nostra ‘carta virtuale’ con un’intervista degna di questo nome. E Rob come un fiume in piena, pieno di aneddoti intriganti e lezioni raccontate con spirito ed umiltà invidiabili, non ci ha deluso.
ZioMusic: Tu sei un punto di riferimento nel campo dell’audio, della registrazione e della gestione del suono live, però si nota subito che non sei il classico ingegnere del suono. Il segreto del tuo successo, del saper valorizzare così tanto la musica forse deriva dal fatto di non essere nato come tecnico ma come musicista professionista?
Rob Griffin: Probabilmente si. Sono partito infatti come musicista, cresciuto come musicista, suonando la chitarra elettrica in un periodo fortunato per il rock and roll, che era il genere che suonavo. Ho iniziato nel 1967, ogni settimana nei negozi di dischi uscita un nuovo disco dei Rolling Stones, dei Beatles, dei Doors, quindi un grande periodo per fare quel tipo di musica. Le chitarre giravano per casa mia perchè già mio fratello suonava in un gruppo locale e me le lasciava suonare, sempre che non gliele rovinassi.
Quindi uscì il primo disco di Crosby, Stills and Nash e quel suono acustico incredibile mi portò a comprare la mia prima acustica. Così entrai nel mondo dell’acustica per molti anni, iniziai a suonare anche il mandolino ed andare in tour con band di un certo livello. Anche se non venivo dal mondo country, mi appassionai di bluegrass e della grande tecnica di quei musicisti. Così mi esercitai e diventai molto veloce e bravo a suonare. E nel giro di sei mesi ero un ragazzino che suonava questa musica così difficile in giro per gli Stati Uniti con grandi artisti. Facendo questo crebbi e vissi per diverso tempo prima a New York, poi Nashville e quindi San Francisco.
ZM: Quando hai iniziato ad approcciare quella che sarebbe poi diventata la tua professione pricipale di ingegnere del suono che ti avrebbe portato al successo?
RG: Mio fratello, più vecchio di me di sei anni, aveva iniziato nel 1968 a lavorare in uno studio di registrazione a Columbus, Ohio. Io avevo 13 anni e mi sono trovato nei weekend a girare per questo studio, ascoltando e imparando, sperimentando muovendo i microfoni. Così ho imparato molte cose, come posizionare i musicisti, come ottenere suoni separati o utilizzare nel modo giusto i rientri per creare la sensazione di spazio, senza combatterli, usarli a mio vantaggio.
ZM: Mi dicevi che poi è stato un episodio a cambiarti la vita e farti scegliere di stare dietro al mixer invece che sul palco.
RG: Si. Proprio nel periodo in cui stavo a San Francisco, mia moglie mi consiglio di andare in palestra per stare meglio. E fu sollevando dei pesi che mi infortunai gravemente al polso destro. L’ironia della sorte volle che proprio in quel periodo stavo per firmare un ottimo contratto discografico, quel tipo di contratto che aspetti da tutta la vita. Avevo circa 32 anni, suonavo da quasi venti e mi si spezzo il cuore vedendo il mio sogno andare in frantumi.
Un mio amico, grande chitarrista acustico francese, Pier Bensusan mi chiese quindi di andare in tour con lui. Questo anche perchè da musicista stavo sperimentando con la tecnologia, usando i loop prima che esistessero i pedali looper, collaborando con Lexicon e riuscendo ad avere uno dei primi prototipi di looper con cui riuscii ad andare i tour in Europa utilizzando questa novità.
ZM: Quindi la tua carriera è iniziata dall’amore per la tecnologia, per la sperimentazione nel campo audio.
RG: Esatto. Nel periodo in cui facevo il musicista, ero in tour in Francia e presi un treno per riuscire ad incontrare i fondatori di TC Electronic, Kim and John Rishøj, proprio agli inizi, e mi trovai a collaborare per lo sviluppo del loro primo delay digitale, il TC2290. Gli feci espandere la memoria. Ricordo che era molto costoso come apparecchio. Un solo chip di memoria costava 60 dollari, ed io ne avevo bisogno 32! Quasi duemila dollari per sedici Mega per realizzare un looper. Contattai anche Eventide per il loro Harmonizer, perchè volevo utilizzare queste tecnologie live, voci e strumenti basati sul looping, armonizzazioni, ottave assurde.
Giravo in treno per l’Europa con tutta questa strumentazione ed un rack enorme di processori. Per anni l’ho fatto dal vivo, suonando con artisti ad un livello piuttosto alto. In particolare suonavo come chitarrista solista con Mark O’Connor, violinista anche per i Dixie Dregs di Steve Morse.
Poco dopo ebbi l’infortunio di cui ti parlavo e Pier Bensusan mi chiese di essere il suo fonico.
ZM: Quindi hai iniziato come fonico live portando dal vivo delle tecnologie che erano sperimentali anche per lo studio di registrazione?
RG: Portai tutta quella roba che usavo io sul palco nel Front of House e inziai ad usarla sia sul palco, controllata da Pier, che da dietro il mixer, controllata da me. Facevo freezing degli accordi, utilizzavo l’effetto reverse sulla chitarra acustica, creando arpeggi e suoni particolari che utilizzavo per realizzare un tappeto su cui Pier poteva suonare gli assoli. E andò bene, la gente iniziò a notare quello che stavo facendo.
ZM: E riuscisti poi a risolvere il problema al polso?
RG: E’ una storia stranissima, che coinvolge il paranormale. Ti dico che per circa cinque anni non riuscii a muovere bene il polso. Poi un giorno, a Genova incontrai questa donna, Maria Capossiana, una pranoterapista che mi guarì nel tempo di un secondo. Fu una cosa folle, quasi mistica, ma il mio polso stava meglio.
ZM: Tornasti quindi a suonare?
RG: Erano passati anni ormai, vivevo in California e nel frattempo mi ero costruito una carriera mixando, sia live che in registrazione. Facevo un sacco di registrazioni con gli ADAT e in passato avevo imparato molte cose sui microfoni. Così diventai un ingegnere indipendente, lavorando in molti grandi studi a San Francisco. Uno dei più grandi era il Mobius Recording, dove c’era un banco Neve 8068, una grande collezione di microfoni, bellissimi pianoforti e grandi musicisti. Ci feci un molte registrazioni per strumenti acustici, sempre però cercando di esplorare le tecnologie future. Cercavo sempre di incontrare gli inventori di queste tecnologie, dare loro delle idee perchè spesso erano esperti in elettronica ma non musicisti.
ZM: Ci puoi dire quali sono i tuoi dischi che hanno dato la svolta alla tua carriera?
RG: Sicuramente c’è il primo disco con cui ho vinto un Grammy, “Oracle”, un disco di chitarra acustica New Age con Michael Hedges nel 1996 per Windham Hill Records. Un precursore del tapping sulla chitarra acustica ma con una mentalità rock and roll. Fu un esperienza eccitante, una grande soddisfazione, ma alla gioia si fuse la tristezza per la morte improvvisa di Michael in un incidente d’auto. Avevamo già l’accordo e stavamo per registrare un altro suo disco in duo con Bonnie Raitt e Crosby e Nash alle armonie vocali. Il Grammy arrivò dopo la sua morte, se lo meritava davvero, un grande disco.
Penso di essere sempre stato molto fortunato. Mi sento grato di aver sempre iniziato le cose partendo da un livello molto alto. Il mio primo artista jazz per cui ho registrato è stato Wayne Shorter, con cui lavoro ora da 23 anni per tutti i suoi dischi e concerti live. Ed il secondo artista jazz è stato Herbie Hancock. Sembra assurdo ma è così, e con Herbie ho vinto altri Grammy. Ed il terzo musicista jazz è stato Michael Brecker per cui ho ricevuto due Grammy per il disco live “Directions in Music” con Herbie Hancock, Roy Hargrove e Michael Brecker. Ho avuto anche un paio di Grammy per dischi live con Wayne Shorter, di cui tra l’altro uscirà tra poco il nuovo disco con la Orpheus Orchestra, che io considero la migliore orchestra da camera del mondo.
ZM: Da quello che mi accennavi è interessante quest’ultimo disco di cui parli perchè è stato registrato con una tecnica molto particolare che ha richiesto un lavoro enorme.
RG: Il disco si chiamerà “Emanon”, che è “No Name” scritto al contrario. Ho utilizzato un registratore Radar di iZ Technology, tra i migliori registratori al mondo, che registrano in digitale ma suonano come l’analogico. Il suono più simile ad uno Studer che abbia mai sentito. Ho utilizzato oltre 80 microfoni e registrato l’orchestra dal vivo negli Avatar Studio di New York, forse i migliori della Grande Mela che possiede la mia console preferita della costa est degli States, una Neve 8088. Abbiamo registrato tutto attraverso questa console e poi verso Pro Tools. Quindi ho portato tutto nel mio studio ed ho ri-registrato ogni traccia. Prendendo due tracce per volta, tutto analogico tranne il controllo digitale per le automazioni dei fader e i pan. Esco dal registratore Radar e vado quindi ad un patchbay router CM Labs Sixty Four controllato digitalmente verso cui è cablato tutto il mio hardware analogico per poter cambiare a mio piacimento il routing e avere dei preset pronti. Tutto quindi viene ri-registrato attraverso il mio hardware, tutto materiale davvero hi-end. In questo modo posso allineare la fase di ogni canale, molto importante per un orchestra per cui ogni elemento può essere allineato con i microfoni panoramici principali. Ogni traccia quindi viene ottimizzata con poca compressione ed eq se necessario e per la fase. Richiede moltissimo tempo ma il risultato è magnifico. A questo punto la registrazione torna nei magnifici convertitori del registratore Radar e tutto è allineato e senza latenza, pronto per mixare. Posso quindi fare tutti i movimenti di fader e pan e se ho bisogno di fare qualche piccolo aggiustamente di EQ posso usare i plug-in digitali. Per fare questo uso una console Sony DMX R100, una vecchia console completamente automatizzata molto avanti per la sua epoca, già nel 2000 lavorava con flash drive e a 32 bit.
ZM: Ci incontriamo qui allo stand Schertler perchè tu conosci da molto tempo Stephan Schertler e collabori con lui. Da due persone così visionarie c’è da aspettarsi l’impossibile…
RG: Conosco Stephan credo da più di vent’anni, me lo presentarono i miei amici di Vovox, un’azienda che produce ottimi cavi, come il miglior progettista di elettronica audio in Svizzera. Quando lo incontrai capii che lui aveva la mia stessa passione. Per entrambi una qualità molto buona non è mai abbastanza buona, ma se il massimo che possiamo fare oggi, forse domani faremo di meglio.
Stephan mi coinvolse nel progetto dell’Arthur, mostrandomi i primi prototipi che aveva costruito. Aveva costruito probabilmente il miglior sommatore analogico, senza feedback negativi. Quando potei sentirlo fui semplicemente stupito della qualità dei preamplificatori e dei transienti. Essendo votato principalmente agli strumenti acustici so quanto siano importanti i transienti. Hanno fatto un lavoro eccezionale riuscendo a produrre dei preamp fantastici a circa 350 dollari l’uno, un prezzo davvero basso se guardiamo a prodotti di questo livello. Per me non c’è nulla allo stesso prezzo che suoni così ed in più abbiamo EQ, fader, routing e tutto quello che serve ad un mixer. Per non parlare della modularità, nessuno aveva mai pensato ad un mixer che si montasse come il Lego!
ZM: Ho visto una tua foto con il mixer Arthur, per cosa lo utilizzi principalmente?
RG: Lo uso negli show live e nelle registrazioni live. L’anno scorso ho fatto un tour di cinque mesi con Chick Corea e Steve Gadd ed ho mostrato il mixer Arthur a Chick e lui lo ha voluto per mixare tutti i monitor sul palco. E’ rimasto stupito della dinamica che questo mixer restituisce. Venendo da decenni di registrazioni e console analogiche con le grandi Neve, sia io che Chick che Steve abbiamo sentito subito la differenza.
ZM: Per chiudere, vista la tua vita piena di storie incredibili, non posso non chiederti di lasciarci con un aneddoto particolare.
RG: Sembrano incredibili anche a me ma sono storie vere. Questa è la storia di come sono riuscito a far comprare a Sting dei microfoni che volevano regalargli.
DPA, l’azienda produttrice di microfoni, non aveva mai dato a nessuno un endorsement per un gruppo. Mi dissero volevano darmi questo endorsement ma che avevano pensato prima a Sting e potevano darne solo a uno dei due. Sting contro un ingegnere del suono molto meno conosciuto.
In quel momento ero a Columbus, dove vivo, ed ero dentro un negozio di alimentari comprando del pane e sento una voce che mi chiede se sono un ingegnere del suono. Quando mi giro vedo Eric Clapton e gli rispondo si. “Ci siamo incontrati al concerto di Micheal Brecker a Tokio, tu lavori per lui, giusto?” mi disse. “Ho sposato una donna che ha una casa proprio a due minuti da qui, sul fiume”. Mi invitò a casa sua e così mi venne un’idea. Gli chiesi se avesse il numero di Sting sicuro che a lui avrebbe risposto. “Certo, chiamiamolo” disse Eric. Dopo un paio di minuti mi passa il telefono e mi presento come Rob Griffin, dicendogli per chi lavoro con fonico. Poi tiro fuori questo discorso dell’endorsement e gli chiedo sfacciatamente se non potesse per favore acquistare i microfoni. “Si, nessun problema” mi rispose Sting. E così ottenni l’endorsement.
Luca “Luker” Rossi
Redazione ZioMusic.it